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O Randaccio e i vocabolâi zenéixi

[ Vocabolâi do zenéize ]

Un scrîto do 1894 (mìlle éuttoçénto novànt'e quàttro) dôve o senatô Randàccio o coménta in scî vocabolâi de l'Oliviêri, do Cazàssa e do Paganìn. Da lêze o coménto in sciô Cazàssa.

 

[ Inderê ]

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Dôv'én i coménti

Covertìnn-a

 

Il parere di Carlo Randaccio sui vocabolari dell'Olivieri, del Casaccia e del Paganini

(...) e vengo al Dizionario genovese-italiano che Giuseppe Olivieri pubblicò nel 1841, intendendo principalmente « all'istruzione dei giovanetti che attendono allo studio della lingua italiana ».

Egli volle, prima di tutto, riformare l'ortografia genovese allora in uso, 1° scrivendo u invece di o, ogni volta che la pronunzia genovese era effettivamente quella dell'u, e per non confondere l'u genovese o francese con l'italiano, le sovrappose due puntini (per esempio cüxì, cucire) invece dell'accento circonflesso; 2° scrivendo il dittongo eu con ortografia francese, cioè senza il suddetto accento; 3° togliendo l'uso, non antico, di disgiungere alcune sillabe per mezzo d'una lineetta d'unione, per esempio marscin-na o marscinn-a, schenn-a, modo contrario all'indole della lingua italiana: gli parve invece più acconcio l'uso dell'h, la quale rappresentasse ora l'aspirazione, ed ora, per così dire, lo strascico della pronunzia genovese; onde scrisse marscinha, schenha; 4° in ogni parola in cui la c italiana ha la pronunzia della s, ponendo questa medesima consonante piuttosto che la c caudata (ç) onde scrisse bassì e non baçì, serin e non çerin.

Nei miei Cenni su la grammatica genovese ho già data all'Olivieri piena ragione riguardo al modo di scrivere l'u genovese: or dirò che egli, anche scrivendo l'eu senza accento, non avea torto: però è innegabile che, per chi ignora il francese, un segno sovrapposto a cotesto dittongo indica che si tratta d'una pronunzia speciale, onde giova di conservargli l'accento circonflesso.

Quanto alla terza proposta dell'Olivieri, essa, invece di schiarire, oscurava, introducendo la lettera h del tutto estranea all'alfabeto genovese: ciò però non significa che sia corretto lo scrivere, come si scrive, marscinn-a, schenn-a. Nella pronunzia genovese non esiste la doppia n, che sarebbe affatto contraria all'indole dell'idioma, esiste invece nella pronunzia della sillaba finale na una pausa brevissima tra il suono della n e quello dell'a, cadendo l'accento tonico su la prima di queste due lettere, onde pronunziasi, per esempio, campan-a, tan-a, Rosin-a, ed è una stranezza di scrivere queste voci con due n, che in italiano non hanno, e che punto si sentono nella pronunzia.

Infine, la quarta proposta dell'Olivieri, ancorché corrisponda alla verità della pronunzia, non è ammissibile: la c caudata compie nel genovese l'ufficio stesso che nel francese, evita confusioni: scrivendo, per esempio, sè invece di çè, seia invece di çeia, si confonderebbero se con cielo, sera con cera. Inoltre la c caudata serve a riavvicinare molte parole alla forma latina e italiana, come çenie, cenere, çen-a, cena, ecc.

Quanto al merito del dizionario dell'Olivieri, egli stesso rispose anticipatamente a coloro che lo trovassero « mancante di moltissime voci » di aver inteso « di dare come un esperimento di dizionario da compiersi e perfezionarsi, non già un dizionario compiuto e perfetto ». Nondimeno assai numerosa fu la raccolta di voci genovesi fatta dall'Olivieri, comprese non poche voci contadinesche: generalmente esatta la corrispondenza italiana: ampie le spiegazioni, in parecchie delle quali scorgesi quel buon letterato che fu l'autore. Chi poi consideri la difficoltà di un primo lessico dialettale, dirà con me esser l'Olivieri assai benemerito dei concittadini suoi, come lo fu dei glottologi italiani e stranieri, i quali scrissero (un poco imprudentemente) del genovese idioma, con la sola scorta del vocabolario di lui.

Lavoro di maggior mole fu il Dizionario genovese-italiano, compilato intorno al 1874 da Giovanni Casaccia, poi ristampato nel 1876, accresciuto del doppio e quasi tutto rifatto. L'autore dichiarò che per l'ortografia si attenne « a quella adottata dal compianto nostro poeta Piaggio, siccome la più semplice, la più chiara, la più corretta, facendo però in essa alcune piccole variazioni atte a facilitare la pronunzia del nostro dialetto, come si vedrà negli avvertimenti grammaticali premessi all'opera », e a proposito di questa dichiarazione io mi riferisco alle osservazioni già fatte. Noterò poi come il Casaccia abbia comprese nel Dizionario genovese moltissime voci prette italiane, che si usano oggi e s'intendono dai Genovesi còlti, appunto perché l'invasione dell'italiano, temuta dal Foglietta e dal Cavalli, è avvenuta e sempre più si dilata, ma ciò non toglie che quelle voci non abbiano appartenuto mai al genovese idioma, e che non gli appartengano neppur oggi. Cito le sole voci registrate dal Casaccia al principio della lettera A: abbattimento, abbellimento, abbigliamento, abboccamento, abito, abitudine, acciacco, accompagnamento, accordo, ecc. Con questo metodo, la maggior parte del vocabolario italiano passar potrebbe nel genovese, togliendo solamente il re ai verbi, e facendo finire in ou le terminazioni in ato, in ito, e via di seguito.

Così l'autore ha, con savio intendimento, registrato « le frasi, i modi figurati, i motti, le sentenze, i proverbi, gli sbeffamenti, i dettati popolari », ma non si è ristretto ai soli originali genovesi, bensì notò modi e proverbi affatto italiani, traducendoli in genovese, L'autore inoltre registrò i termini tecnici e volgari delle scienze, arti e mestieri, e fece opera utilissima: questa però gli riuscì troppo imperfetta riguardo all'arte tanto importante per i Genovesi, la nautica: non conobbe infatti che l'antiquato dizionario di marina dello Stratico.

Sfuggirono invece al Casaccia molte voci vere genovesi, e, cosa strana, anche molti avverbi, per esempio:

ancon, ancon d'assè, attornio (d'), ça (qua), desparte (in)
donde, dove, là, mai, meno, troppo, unde, ecc.

altri registrò male, per esempio:

fin      per  fin-a (fin-a lì) sotto   per   de sutta
segûo   »   de segùu spesso   »    de spessu

Delle voci plebee e contadinesche, che non sono barbarismi o idiotismi, ma conservano per la massima parte il linguaggio genovese parlato sino alla fine del secolo XVIII, il linguaggio del Foglietta, del Cavalli, del De Franchi, pochissime registrò, nemmeno quel dunca che si sentiva tuttodì suonare all'orecchio e che se oggi è voce plebea, appartenne per lungo tempo all'aristocrazia: senza aggiungere che, filologicamente, il dunca, se, come sembra certo, viene dal latino tunc (Diez) o da ad hunc (Muratori) sarebbe voce più pura, come il francese donc e lo spagnuolo doncas, dell'italiano dunque che, per verità, fu anticamente pronunziato dunche e dunqua.

Nel dizionario del Casaccia vi ha impertanto del superfluo, e manca una parte del necessario, ma guardando all'insieme dell'opera, all'ampia e faticosa raccolta fattavi delle voci tecniche genovesi, alle molte frasi, ai molti proverbi e motti genovesi che vi si trovano registrati, giusto è dire che è un buono ed utile dizionario che l'autore potrà con facilità migliorare.

Onorevole ricordo merita pure il Vocabolario domestico genovese italiano, pubblicato in Genova nel 1857 da Angelo Paganini, diligente ed esatta raccolta delle voci d'uso domestico, in cui seguì l'ortografia dell'Olivieri. Particolarmente utile l'Appendice zoologica.

(...)

Pigiòu da Carlo Randaccio, Dell'idioma e della letteratura genovese, Roma, 1894.

[ in çimma da pàgina ]