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NOTE SU ASPETTI DI FONOSINTASSI GENOVESE



1) PREMESSA



Lo scopo di questo contributo consiste nell' illustrazione di alcuni aspetti della fonosintassi del genovese urbano relativamente al secolo XX.

La fonosintassi prende in esame l'insieme dei fenomeni di combinazione dei "fonemi" nella "catena del parlato".

Nel seguito, verranno considerati i fenomemi di fonosintassi della lingua genovese relativi ad "incontri" tra "fonemi vocalici" nell'ambito della frase.

Istituendo, ove si ritiene opportuno, confronti con quanto si verifica all'interno di una singola parola nell'ottica di illustrare "aspetti" "generalizzati" nella "gestione" degli "incontri vocalici" nella lingua genovese.

Specificamente, per quanto concerne la "fonosintassi",si tratteranno gli "incontri" tra la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola successiva.

Nel testo si adotterà, talora, il tempo presente, ma si avverte che esso, ormai, va inteso quale "presente storico".

Perché, ormai - anno 2005, - il genovese si trova nella situazione di lingua "residuale".

Parlato "effettivamente" - sia pure con diffuse e significative "lacune" e quasi mai con modalità "totalizzanti" - da un numero assai ristretto di persone di età molto avanzata e, attualmente - non siamo ipocriti ! - , di umile provenienza o attuale condizione sociale.

Le motivazioni di quanto esposto, cosí come di sporadici e "velleitari revival" che si traducono, come dato di fatto, in realtà di "fiction" , si trovano descritte nell'articolo “Cultori e locutori” presente su questo sito .

Altrettanto va scritto in merito alla presenza di rari cultori che, pur animati da nobili e sentite intenzioni, non possono assolutamente modificare il contesto precedentemente riferito.

Ciò premesso e nuovamente chiarito anche in questi appunti, passiamo al contenuto vero e proprio che s'intende trattare.

Il genovese ( quello - almeno - del XX secolo, il cui uso e la cui conoscenza sono andati scemando in progressione sempre piú netta al passare del tempo ed all'inevitabile succedersi delle generazioni umane ), anche a causa dell'"eliminazione" della consonante - r - intervocalica - già presente in precedenza come "caratteristica popolare" e "generalizzatasi", in città, a seguito della caduta del regime politico aristocratico - , conosce non pochi "incontri" di vocali originariamente appartenenti a sillabe diverse.

"Incontri vocalici" "gestiti" e "risolti" - all'interno della singola parola - con "esiti" generalmente costituiti da dittonghi.

Dittonghi che, quindi, "si formano" a seguito dell' "eliminazione" del confine tra sillabe di una stessa parola e sono tanto di tipo "ascendente" ( esempio : "miâgia /'mja:dZa/" = "muro" ) quanto di tipologia "discendente" (esempio: "naixa /'najZa/" = "narice" ).

Entrambi gli esempi citati sono "esiti" "storicamente" "recenti" in cui le "vocali" vennero poste direttamente in contatto dopo la caduta dell'-r- intervocalica, generalizzatasi in città dopo il crollo del regime aristocratico.

Le parole di "buon registro" di pronuncia di ancien régime non presentavano "dittongazione" .

Perché la "conservazione" dell'-r- fungeva da separazione.

Ed erano - in città - , rispettivamente, "myRaggia /my'RaddZa/" = "muro" (9) e "naRîxa /na'Ri:Za/" = "narice".



Lo stesso fenomeno di "eliminazione" del "confine" esistente tra vocali si verifica anche nell'ambito fonosintattico, quando una parola termina in vocale e per vocale inizia la parola successiva.

Tra le vocali coinvolte ( quella finale della parola precedente e quella iniziale della parola successiva ) viene annullato il relativo "confine" e le vocali vengono a formare dittonghi ascendenti o discendenti come avverrebbe all'interno di una stessa parola o, come alternativa, si può ottenere l' "abbattimento" del "confine", realizzando l'assimilazione ( cioè, l'eguaglianza ) dei timbri vocalici contigui, anche se, originariamente, essi erano differenti (1).

Oltre alla "semplice" dittongazione ed alla possibilità di un "esito" derivante da "assimilazione", esiste anche un'ulteriore alternativa realizzata mediante "timbri vocalici" di "transizione" che verrà adeguatamente illustrata nel seguito.

Quanto finora esposto contribuisce ad "identificare" "caratteristiche" di "regolarità", "identità" e "specificità" notevoli.

Avvertibilissime e chiarissimamente denotanti il parlato genovese genuino.

Fortemente contrastante coll'italiano "scolastico", che si insegna da generazioni nelle scuole a pronunciare "staccando" le parole - cioè, facendo nettamente avvertire il "confine" esistente tra di esse - e che, di conseguenza, da generazioni in tale modo viene parlato.

Si premette che, nel corso della trattazione, ci si avvarrà - a titolo di esemplificazioni - di registrazioni sonore.

Si ritiene corretto porre in evidenza che, nel genovese scritto con modalità "tradizionali" - "prigione italianizzante" che "maschera" anziché chiarire l'identità della lingua per tutti quelli che già non la conoscano per "esperienza diretta" - , codesta realtà linguistica di "abbattimento" del confine tra parole e la conseguente "fusione" dei timbri vocalici in dittonghi o mediante "assimilazione" - con il relativo mutamento ( in entrambi i casi ) di alcuni timbri vocalici ( fenomeno linguistico che si definisce "apofonia" ) - o con l'ulteriore modalità che implica "timbri vocalici" di "transizione" NON È MAI STATA RAPPRESENTATA GRAFICAMENTE.

TRANNE IN ALCUNI CASI PARTICOLARMENTE BANALI.



Infatti, il fenomeno fonosintattico di "fusione" non è mai stato sistematicamente né adeguatamente "recepito" dalle grafie "tradizionali" del genovese.

Perché il vincolo grafico "implicito" consisteva nell'aderenza , se pur profondamente "innaturale", quanto piú possibile "fedele", alla grafia dell'italiano.

L'unica grafia che era reputato lecito trasporre sulla carta.

Ragione per cui al genovese venne e viene tuttora "imposto" - nell'ambito delle cosiddette "grafie tradizionali" - di "portare" quasi un' "uniforme militare", come succedeva ai militari di leva. Cioè, andare "vestito" con quanto è disponibile nel "magazzino" dell'italiano.

Senza alcuna preoccupazione relativa al fatto che codesto abito non si attaglia alla "corporatura" del genovese e ne "impaccia" significativamente i "movimenti" invece di "favorirli".

Perciò, dal momento che il genovese appartiene alle lingue indoeuropee e, piú precisamente, a quelle parlate in Europa, pare naturale adottare , nell'intento di designarne adeguatamente le specifiche "caratteristiche linguistiche", la nomenclatura usata per le lingue europee, che deriva dalle definizioni dei "fatti linguistici" disponibili nelle lingue classiche : il greco classico ed il latino.

Nel caso in esame, il greco classico.

Tuttora insegnato.

Lingua in cui si verifica e si "grafa" adeguatamente la "fusione" tra la vocale finale di una parola e quella iniziale della parola seguente e, anche, "situazioni" di "incontri vocalici" più "complessi". Chiaramente, le modalità della "fusione" - nel greco classico - non possono risultare identiche a quelle del genovese, data l'evidente "differenza strutturale" esistente tra le due lingue citate - genovese urbano genuino e greco classico -.

Nel greco classico la realtà linguistica finora descritta viene definita mediante il termine "crasi" (κρãσις), cioè "fusione".

Sostantivo che deriva dal verbo greco “κεράννυμι” = "fondere". Il greco classico, addirittura, possiede un segno diacritico - si chiama "coronide" - che indica l'avvenuta fusione di timbri vocalici contigui, il cui "confine" è stato abolito. Evidentemente, ragioni dovute alla significativa "differenza" tra il greco classico ed una variante linguistica neolatina quale il genovese - oltre a motivazioni "tipografiche" - sconsigliano l'impiego di segni diacritici specifici del greco classico per la rappresentazione grafica di fenomeni fonosintattici - sia pure "geneticamente" simili - del genovese. Infatti, come si potrà riscontrare nel seguito della trattazione, per quanto concerne la grafia, si adotterà il "trattino" ( " - " ) .

Si esamineranno, di seguito, i singoli casi di "fusioni" di vocali tra parole "contigue" - "crasi" - che si possono verificare in genovese:

1.1) nelle situazioni di "crasi" conformi alla tabella che riporta i "dittonghi" propri del genovese originati da incontri vocalici avvenuti all'interno di una stessa parola;

1.2) nei casi in cui la "crasi" si realizza mediante l' "assimilazione" - eguaglianza dei due timbri vocalici coinvolti - ;

1.3) laddove la "crasi" si verifica mediante un "timbro vocalico" di "transizione".



Sono disponibili, nel seguito, gli esempi "sonori" tratti, in massima parte, dal repertorio del Marzari e resi disponibili,a valle di un fondamentale ed estenuante lavoro di "spoglio acustico" e "resa grafica" condotto sui brani registrati, da Conrad Montpetit. Si ribadisce, come sopra anticipato, che nella grafia adottata per riportare gli esempi proposti si è impiegato - quale segno di avvenuta "crasi" - il "trattino" ( " - " ) , il "trait d'union" della grafia della lingua francese . Non nell'accezione "logica" nella quale si usa in francese, ma proprio per denotare l' "unione", dovuta a "fonosintassi", ma, in effetti, "fonetica", delle due vocali o in un solo dittongo o in una singola vocale lunga, "ottenuta" a partire dalle due vocali graficamente "unite" dal segno del "trattino" stesso, o, anche, mediante un "timbro vocalico" di "transizione".


2) “CRASI” TRA PAROLE DISTINTE


2.1) “CRASI” REALIZZATA MEDIANTE “ASSIMILAZIONE"
Iniziamo la sezione dedicata ai fenomeni di “crasi” che si realizzano mediante l' “assimilazione” dei “timbri vocalici” “contigui” tramite esempi in cui i timbri vocalici sono identici. In questo caso particolare, la “crasi” “produce” - nella pronuncia - semplicemente un'unica vocale lunga.
Seguono esempi in formato audio :


2.2) “CRASI” REALIZZATA MEDIANTE “DITTONGAZIONE"
Come possibilità di realizzazione di dittonghi, può verificarsi, ad esempio, l'incontro di “a” od “e” finali di parola con “u” iniziale. Si “ottiene” il dittongo “o-u” /'Ow/, che si trova riportato nella tabella dedicata ai “dittonghi discendenti” contenuta nell'articolo “I dittonghi e gli iati della lingua genovese” presente sul sito come “appendice” alle “Osservazioni sulla grafia di G. Casaccia”.

In un diverso incontro vocalico quale quello tra “u” finale con “a” od “e” iniziali, si possono “realizzare” i dittonghi /wa:/ e /we:/ (4), già inclusi nella tabella dedicata ai “dittonghi ascendenti” che si trova nell'articolo sopra menzionato.

Alcune osservazioni s'impongono:
2.1.1) l'incontro di “u” con “a” e quello di “u” con “e” può risolversi anche in una “crasi omofona” . Scritto più semplicemente, ciò significa che le due vocali, originariamente di timbro differente, si “assimilano” - diventano eguali - . Per la precisione, si tratta di “assimilazione regressiva” - che opera, cioè, all'indietro, verso sinistra rispetto al senso della nostra scrittura - . In luogo dell' “u” finale della prima delle due parole che entrano in contatto, si “ritrovano” l' “a” o l' “e” della seconda parola ed i due timbri, a codesto punto identici, si “fondono” in un'unica vocale lunga. Si mantengono distinte - nella grafia - le due vocali, anche se, ormai, “assimilate” , per non complicare la “descrizione grafica” e la comprensione del fenomeno intervenuto. Ma la pronuncia implica, come già riferito, una sola vocale di durata lunga.

Nu ho mîga persu a testa nu?! N'ho mîga persa-a testa, nu?!
Diggu a veitæ... Digga-a veitæ ...
...poi v'apendu e bêl'ou collu... ...poi v'apende-e bêl'ou collu...

2.2.1) la vocale “u” “nasalizzata” - cioè, seguita dalla consonante “n” /N/ - che compare nella forma verbale “sun/'suN/ = “(io) sono” non impedisce la crasi. Infatti, “sun arrivou” = “sono arrivato” veniva pronunciato /'swa:ri'vOw/ e, più popolarmente, /'swa:'rjOw/, a seguito dell' “eliminazione” della consonante “v” “intervocalica” . Se due sillabe riportano lo stesso tipo di accento, ciò implica che si realizza “isotonia” = “eguaglianza di accento” . Cioè, le sillabe venivano pronunciate con eguale intensità.


2.2.2) A proposito di quanto scritto al precedente punto 2.2.1) , si può osservare - per quanto è a nostra conoscenza - che la crasi nel genovese è tutt'altro che fenomeno fonosintattico riferibile al solo “Novecento” . Infatti, oltre a grafie “antiche” (cioè, precedenti all' “eliminazione” dell' “r” intervocalica ) quale “ri are” , la cui pronuncia era /'Rja:Re/ = “le ali” e che compare, ad esempio, in poesia, la stessa “traduzione” genovese della "Gerusalemme liberata" , come può dedursi dalla metrica del verso di seguito riportato, mostra, con un'elevata probabilità - in questi casi non ci si può, evidentemente, avvalere di registrazioni audio - un'occorrenza di “crasi” realizzata a partire da vocale “nasalizzata” , come nel verso “dopo sta gente ven Aradin con quella /'dOppu 'Sta 'dZeNte 'vjA:Ra'diN 'kuN 'kwella/” . Ci si riferisce al verso 17,35 tratto dall'edizione del MDCCLV ( 1.755 ) di “Ra Gerusalemme deliverâ dro Signor Torquato Tasso tradûta da diversi in lengua zeneize. In Zena in ra stamparia de Bernardo Tarigo” . Il numero 17 indica il canto, il 35 l'ottava. E, del resto, Giangiacomo Cavalli mostra consapevolezza del fenomeno fotosintattico, scrivendo “fi' a ro di' /'fja: Ru 'di/” = “fin al giorno” . Quanto citato si legge alla pagina 130 dell'opera “ Ra Cittara Zeneize, poexie de Gian Giacomo Cavallo . In questa nuoeua restampa de chiù poemi accrescioua. ( sic ! ) In Zena, MDCLXV ( 1.665 ) . Præ Giruoemo Marin, vexin à S. Donoù ” . Si può dedurre, quindi, che la “nasalizzazione” delle vocali non impedisse, all'epoca, la formazione della “crasi” , la quale appare costituire, già allora, un aspetto caratteristico e specifico della lingua genovese. Evidentemente, non è stato possibile effettuare uno spoglio “esaustivo” delle opere letterarie pervenuteci scritte in lingua genovese, perché ciò :
a) esula dall'ambito del presente contributo allo studio ed alla migliore comprensione della lingua;
b) in assenza di testi redatti in formato tale da consentirne l'accesso tramite metodologie informatiche, lo spoglio ipotizzato avrebbe implicato un impegno non facilmente gestibile.

2.4) “CRASI” REALIZZATA MEDIANTE “FONEMA” DI “TRANSIZIONE"

In relazione, inoltre, alla “fusione” di fonemi vocalici nel genovese esistono situazioni ancora più complesse di quelle precedentemente esposte, di cui si propone, preliminarmente, un esempio audio che riporta la pronuncia “fonosintattica” della frase “gh'hu-e-i faxulin /'gwej ,faZu'lin/” = “ho i fagiolini” . In /,faZu'liN/ l'accento posto in basso nella trascrizione fonetica denota l'accento “secondario” - meno intenso - della parola rispetto a quello “principale” - più “forte” - segnato in alto.

A) “CRASI” TRA LE VOCALI “O” ED “I” MEDIANTE IL “TIMBRO DI TRANSIZIONE” “E”

Donne gh'ho i faxulin sensa fîa... Donne gh'hu-e-i faxulin sensa fîa...

L'esempio proposto risulta, certamente, meno “immediato” delle tipologie di “crasi” finora prese in considerazione.

Perché ?
Perché tra il timbro vocalico finale di una parola e quello iniziale della successiva viene a “realizzarsi” una “transizione” mediante un differente “timbro vocalico” . Nel caso in esame, la vocale “e” . Fenomeno interpretabile come se i due timbri vocalici coinvolti risultassero “significativamente” “distanti” e si rendesse opportuno, per “gestire” il confine di sillaba, “realizzare” nella pronuncia un suono di “transizione” . Per pronunciare le vocali - come, del resto, qualsiasi altro fonema appartenente ad una determinata lingua - occorre una specifica “posizione” - all' “interno” ed al “contorno” della cavità orale - degli “organi fisici” “fonatori” che emettono il suono - quali lingua, labbra et c. ... Il concetto di “distanza” - nel significato sopra accennato - tiene conto di “quanto” - tanto o poco - “differisca” il “posizionamento” degli “organi fisici” coinvolti. Non, evidentemente, della “contiguità” nella rappresentazione grafica delle vocali in un dato testo. Ovviamente, se il “posizionamento” relativo a due diverse vocali risulterà “simile” , esse potranno definirsi “vicine” , perché lo “sforzo fisico” richiesto per “passare” dall'una all'altra viene valutato piccolo. Inversamente, due vocali potranno definirsi come “distanti” nella situazione opposta.

Non si ritiene questa la sede più adeguata per trattare, relativamente alle vocali della lingua genovese, del concetto di “posizionamento” nel “cavo orale” - all'interno del quale esse vengono “prodotte” - e del concetto di “distanza” tra di esse. Ma alcuni cenni risultano imprescindibili.

I timbri vocalici della lingua genovese sono otto: /a/, /E/, /e/, /ø/, /i/, /y/, /O/, /u/.

I quali possono essere, rispetto alla “durata temporale” , brevi o lunghi.

In realtà, l' “allungamento” della vocale incide anche - come effetto secondario - sul timbro. Tuttavia, in questa trattazione, non si ritiene di tener conto anche di questo ulteriore aspetto della lingua. Una conferma di quanto esposto è, ancora all'interno dell'attuale Comune di Genova, la resa in “o” delle “a” lunghe della lingua genovese urbana che si realizza nella pronuncia di Sestri Ponente. E, all'esterno del territorio comunale, il fenomeno citato è avvertibile in non poche località.

I timbri vocalici del genovese possono essere rappresentati, come tradizionalmente si fa con altre lingue, in un diagramma al cui vertice viene posta la vocale /a/:

Diagramma vocalico della lingua genovese
timbro più alto
v
o
c
.
a
n
t
e
r
i
o
r
i
iyu
eø
EO
a
v
o
c
.
p
o
s
t
e
r
i
o
r
i
timbro meno alto

Dalla rappresentazione grafica esposta si deduce che il genovese, come, del resto, l' “italiano standard” possiede un solo timbro di /a/, prescindendo, come premesso, nel caso del genovese, dal considerare variazioni timbriche indotte dall'allungamento vocalico e restringendoci all'ambito urbano.

Le differenze fondamentali, rispetto all' “italiano standard” - dotato di sette timbri vocalici - , consistono in due aspetti:
2.4.1) non esiste, nel genovese urbano, a differenza dell' “italiano standard” , il timbro dell' “o” chiusa (3) ;
2.4.2 ) mentre sono assenti in “italiano standard” , appartengono, invece, ai fonemi del genovese i timbri “arrotondati” - realizzati tramite l'opportuno posizionamento delle labbra - della vocale /i/ - realizzata “arrotondata” come /y/ - e della vocale /e/ - “e” chiusa - realizzata, mediante “arrotondamento” come /ø/ - , il cui timbro, quindi, esiste, nel genovese urbano, unicamente chiuso ) .


Ciò premesso per maggiore chiarezza di quanto verrà successivamente trattato, risulta interessante notare come esistano altre tipologie di “crasi” realizzate mediante “timbro vocalico” di “transizione” e come il fenomeno illustrato appare essersi verificato anche all'interno di una stessa parola.
In una singola parola ciò è accaduto a seguito dell' “eliminazione” della consonante “intermedia” la cui “caduta” ha posto in contatto due vocali originariamente appartenenti a due sillabe distinte.

Si tornerà sul tema, dopo aver esposto, sinteticamente, altre “occorrenze” di “crasi” tra parole distinte realizzate mediante “timbro vocalico” di “transizione” .

B) “CRASI” TRA LE VOCALI “E” ED “U” MEDIANTE IL “TIMBRO DI TRANSIZIONE” “o"
Altre “crasi” , presenti nel corso del Novecento, ma meno praticate al passare del tempo, si realizzano a partire dalle congiunzioni “e” e “se” ( eguali alle corrispondenti italiane ). Nella frase, ad esempio, la pronuncia di “e” + “u” ( congiunzione + articolo / pronome ), risultava essere “j-o-u” , cioè /'jOw/. Il timbro di “o” costituiva la “transizione” tra l' “e” e l' “u” , mentre, come evoluzione ulteriore, l' “e” - in origine, vocalica - “assumeva” la valenza della “semivocale” corrispondente. Che, in genovese, è /j/ (4). Analogamente per “se” . “Se lo vorrò” veniva pronunciato “sj-o-u vuriô /'sjOw vu'rjo:/” et c. ...


3) CONSIDERAZIONI IN MERITO AD "INCONTRI VOCALICI" REALIZZATI ALL'INTERNO DI UNA STESSA PAROLA MEDIANTE "TIMBRO DI TRANSIZIONE"

Si formulano, giunti a questo punto della trattazione, considerazioni in merito ad incontri vocalici verificatisi all'interno di una singola parola. I quali implicano significative analogie con quelli riscontrabili tra parole distinte.



3.1) ANALOGIE TRA IL FENOMENO FONOSINTATTICO DI "CRASI" REALIZZATA MEDIANTE "TIMBRO DI TRANSIZIONE" ED "INCONTRI VOCALICI" DEL GENOVESE URBANO ALL'INTERNO DI PAROLE SINGOLE



Risultano "simili" alla "crasi" tra parole diverse, pur riscontrandosi all'interno di una stessa parola, alcune "transizioni" di suoni cui può aver contribuito l' "esigenza" di "mediare" ( tramite un "timbro vocalico" non etimologico - cioè, originariamente, non presente nella parola di origine - ) tra fonemi vocalici che vennero a trovarsi in contatto, pur risultando significativamente "dissimili", cioè, "lontani" tra loro nell'ambito dell'insieme delle vocali del genovese.

A') "INCONTRO VOCALICO" TRA "O" ED "I" NELL'AMBITO DELLA STESSA PAROLA MEDIANTE IL "TIMBRO DI TRANSIZIONE" "E"

"Pescou / pes'kOW / " = "pescatore" deriva dal latino "piscatore(m)" attraverso "fasi intermedie" quali "pescaû / peska'u: / " , a seguito dell' "eliminazione - avvenuta in epoca "antica" - della dentale intervocalica e della dittongazione di /'aw/ in /'Ow/ - previa ritrazione dell'accento sulla prima delle due vocali - , com'è norma nella lingua urbana. Non nel genovese urbano, ma nella Riviera di levante - e, in realtà, anche a ponente - e nel relativo entroterra, accanto alla forma di chi intende parlare "genovese", esistono ancora, come "pronunce locali", "esiti" linguistici del tipo di "pescoi / pe'skOj, pe'SkOj /" = "pescatori". Chiaramente, di formazione "analogica" rispetto al singolare "pescou /pe'skOW / " = "pescatore".

Un timbro "intermedio" di /e/ - all'interno della singola parola - , come nella "crasi" tra parole distinte sotto riportata




è interpretabile come la spiegazione più semplice ed immediata, valida a giustificare il plurale urbano "pescuei /pe'skwej /" = "pescatori", et al ... di analoga origine. Nella situazione esposta, infatti, l' "ergonomia dinamica" della lingua genovese "realizza" /Oej/ il cui "esito stabile" è /'wej/ perché, anche in questo caso, la /O/ seguita da vocale "evolve" nella "semiconsonante corrispondente" che, per /O/, è /w/ (4).

La spiegazione che intenderebbe fornire lo studioso Bottiglioni, in un suo studio intitolato "L'antico genovese e le isole linguistiche sardo-corse" - pubblicato nell'anno 1.928 nel volume 4 di "L'Italia dialettale" alle pagine 1 - 60 - , è più complicata, ma l'approccio metodologico sotteso incorre in una forte vulnerabilità intrinseca. Si fonda, infatti, sulla parlata dei "tabarchini" - abitanti di Carloforte e Calasetta - . Si tratta di due comuni della Sardegna in cui si parla tuttora una varietà linguistica ligure, perché "fondati" prevalentemente da popolazione di origine ligure che, in precedenza, risiedeva sull'isola africana di Tabarca. Ma la parlata suddetta - non completamente omogenea tra le due cittadine - non sempre rappresenta stadi evolutivi che siano appartenuti anche all'antico genovese urbano, Anzi, talora, esibisce "comportamenti linguistici" che non sono stati mai presenti in città. Ad esempio, la caratteristica - riferita dall'autore alla parlata di Calasetta, la quale "apre" fino al "timbro" di /a/, l'/e/ seguita da "semivocale" - "contrasta" - mediante codesto suo esito specifico - col genovese urbano e adotta "esiti" "particolari" che non sono mai esistiti in città. Infatti, ad esempio, il genovese cittadino non conosce né conobbe mai "sajja /'sajja / " per "sejja / 'sejja / = "sera" et sim. ...

Ovviamente, l'attuale "sejja /'sejja/" deriva dalla forma di ancien régime "seira /'sejRa/" .

E non certamente da "sajja /'sajja/".

Alla "caduta" del fonema -r- intervocalico, da "seira/'sejRa/" - tuttora vivo in zone di pronuncia "arcaica" - si ebbe "sejja /'sejja/" , in quanto il "comportamento semiconsonantico" di /j/ ne rese la pronuncia "intensa" in una situazione in cui il fonema /j/ veniva a trovarsi post-tonico - a valle, cioè, dell'accento della parola - .

Finora è stata esaminata l'"ergonomia" della "transizione" dal timbro di /O/ a quello di /i/ mediante il fonema /e/. Ma, nella lingua genovese, si pose anche l'esigenza della "transizione" da /e/ ad /u/ che verrà analizzata nel capitolo seguente.



B') "INCONTRO VOCALICO" TRA "E" ED "U" NELL'AMBITO DELLA STESSA PAROLA MEDIANTE IL "TIMBRO DI TRANSIZIONE" "O"

Ad esempio, la collinetta la cui vetta era situata nel luogo dove ora si trova la piazza Manin era denominata dai vecchi genovesi "u Murtiou / u Mur'tjOw / ". Nel significato di "Mirteto" ( fitonimo - nome proveniente da pianta - ) , derivante dal mirto, arbusto mediterraneo. Ma l' etimo ( l'origine ) di "mirteto", sostantivo che proviene dalla lingua latina, non contiene alcuna "o". E nemmeno alcuna "i", né vocalica né semiconsonantica. Infatti, la parola latina è "myrtetu(m)". In questo caso, l' "eliminazione" - molto antica - della "dentale intervocalica" ha posto in contatto diretto le due vocali ( "e"ed "u" ). Ed è, appunto, tra di esse che si può riscontrare il "timbro vocalico" di "o", interpretabile, appunto, come "suono di transizione". Da cui l'esito "Murtiou" a seguito della solita evoluzione della vocale /e/ - che precede altra vocale - nella "corrispondente semiconsonante" - /j/ - . A motivo della "tendenza" , insita nella lingua genovese, a realizzare "dittonghi ascendenti" in simili situazioni di "incontri vocalici" (4).

"Fattore evolutivo" che "operò" anche nel fiorentino - e, quindi, nell' "italiano standard" - in occorrenze quali "vigna" proveniente da un precedente "vinja" derivato, a sua volta, dal latino "vinea" et al. ...

Poco "convincenti" appaiono tentativi di spiegazione meno "conformi" alla struttura ed all'evoluzione linguistica della lingua genovese.

Esposti, tra l'altro, in un contesto che non fornisce evidenza di conoscenza attendibile della lingua stessa.

Il Bottiglioni, infatti nel suo articolo già riferito, formula un'ipotesi notevolmente complessa ed involuta e, obiettivamente, non molto convincente. Per i motivi che verranno esposti. Prima di riportare l'ipotesi del Bottiglioni con modalità sintetiche - se non l'altro per l'interesse storico che essa può rivestire, data la scarsissima letteratura disponibile sull'argomento - pare ragionevole premettere alcune considerazioni.

Relative all'aspetto dell'affidabilità nel merito di chi si è occupato di studi linguistici riferentisi alla lingua genovese e, di conseguenza, alla validità di quanto esposto nel contenuto degli studi stessi. L'autore di cui sopra - sia scritto con tutto il rispetto per la figura di uno studioso da tempo scomparso, ma, sia concesso, anche con la libertà di proporre opinioni differenti - , nell'articolo citato, sembra mostrare una conoscenza del genovese cittadino "libresca" e non certo sufficiente. Una conoscenza che si presenta come appresa da altri testi - cioè, "mediante gli occhi" -, non "ascoltata" dalla parlata vera, dalla lingua viva "con gli orecchi" ...

Di ciò, per ora, un solo esempio. Uno ulteriore , che si reputa sufficientemente indicativo, seguirà nel corso della trattazione. Nel testo dell'articolo riferito vengono dedicate un po' più di NOVE PAGINE all'identificazione di tutte le possibili "occorrenze" in cui, in varietà linguistiche non urbane, si può riscontrare il timbro vocalico di "o" in luogo della vocale "etimologica" "a" - "conservata" nell' "italiano standard" e nel genovese urbano - . Quando, semplicissimamente, la "categoria unificante" che "scatena" il fenomeno linguistico riferito è una sola e descrivibile in , al più, SEI PAROLE : "VOCALE "A" LUNGA E DOTATA DI ACCENTO" o, anche meno : "VOCALE "A" TONICA LUNGA" - QUATTRO PAROLE - . Il fenomeno è tuttora vivo e verificabile, come già riferito, a Sestri ponente ed in un notevole numero di altri siti che non compete a noi elencare.

Ma qual'è, dunque, la tesi sostenuta dal professor Bottiglioni per spiegare l'evoluzione di "Murtiou /Mur'tjOw /" da "myrtetu(m)" ?

Essa consiste nell'affermazione dell'autore che parole quali "Murtiou / Mur'tjOw /" ed altre assimilabili - a seguito della "caduta" della consonante dentale intervocalica - dovessero pronunciarsi - nel genovese urbano - " Murtejju / Mur'tejju /" e similmente nei casi analoghi. Ciò a motivo dell'evoluzione di "e latina lunga" tonica nel dittongo genovese "discendente" /'ej/ ed all' "intensità" della "semiconsonante" /j/ venutasi a trovare in posizione post-tonica. A partire dall'evoluzione ipotizzata - ma non attestata da alcuna grafia antica - , il Bottiglioni suppone, inoltre, un ulteriore "passaggio" a "Murtiêu" per "metatesi", cioè "spostamento" - nel caso in questione, della /j/ -. Evoluzione - occorre scriverlo - , anch'essa, non attestata da nessuna grafia. Da "Murtiêu" - non attestato, come precedentemente esposto, - , sempre secondo l'autore menzionato, si sarebbe, finalmente, pervenuti a "Murtiou / Mur'tjOw /" per la nota "apofonia" - "mutamento di suono" - di "e" in "o" davanti alla vocale "u".

Relativamente a questo "tentativo di spiegazione" non si può non notare che :

3.1.1) forme quali "Murtejju / Mur'tejju /" effettivamente esistettero ed esistono tuttora in varietà linguistiche non urbane che annoverano, ad esempio, numerose serie di toponimi quale "Canejju / Ka'nejju / " = "Canneto" et c. ..., ma non in città o nelle vicinanze ;

3.1.2) forme quali "Murtejju / Mur'tejju / "et c. ... possiedono una "struttura" "stabile" - ovviamente, per quanto concerne la "struttura" propria della lingua genovese - e non si riesce a comprendere - né l'autore fornisce giustificazioni in merito - perché mai la /j/ - presentataci cosi' "girellona" - debba "essersi spostata" all'interno della parola ;

3.1.3) il professor Bottiglioni, nel corso dello sviluppo della sua spiegazione, come sopra riferito, prima di "Murtiou / Mur'tjOw /, giunge ad ipotizzare uno stadio "precedente" che egli identifica in "Murtiau / Mur'tjaw /" - assolutamente non necessario - , perché "e" seguita da "u" fornisce il dittongo "ou /Ow /" , senza alcuna necessità di "passaggio" attraverso "au / aw / ". Né "appartiene" alla "struttura" del genovese urbano la transizione da "eu /ew / " ad / au /aw /" .



3.1.4) inoltre, il Bottiglioni non pare rendersi conto di essere incorso in una "petizione di principio" . Cioè, esordisce con l'intenzione di "spiegare" "Murtêu" e perviene - nel corso della sua trattazione - a "Murtiêu", che presenta la stessa identica "esigenza" di spiegazione del sostantivo "Murtêu" da cui si era partiti, perché , evidentemente, "Murtiêu" "contiene in sè "êu" tanto quanto la base di partenza - "Murtêu" - ;



3.1.5) un ulteriore esempio - come premesso - della difettiva conoscenza - da parte dell'autore - della lingua genovese è dimostrato dal fatto che - in tutto il testo del suo articolo - il timbro della vocale "o" nell'ambito del dittongo "ou / Ow / " è denotato quale chiuso. MENTRE ESSO, NEL GENOVESE URBANO, E' SEMPRE APERTO E LA PRONUNCIA DEL DITTONGO "OU" E' "/Ow/" . Oltre al fatto - già evidenziato - che il genovese non possiede, nell' "inventario" dei propri fonemi, il timbro di "o" chiusa (3). E, a differenza dell' "italiano standard" che comprende i timbri di "o" aperta e chiusa, il genovese possiede solamente il timbro dell' "o" aperta /O/ . Aspetto tuttora verificabilissimo e su cui il Bottiglioni stesso - non ligure - , ai suoi tempi ( non , poi, cosi' remoti ), si sarebbe potuto informare o si sarebbe potuto benissimo rendere personalmente conto. anche trascorrendo qualche ora a Genova o interpellando direttamente un informatore cittadino. Inoltre, per completezza di trattazione e di informazione, va ulteriormente chiarito che il Bottiglioni, in effetti, nel testo del suo articolo, non si avvale specificamente - ai fini della sua "spiegazione" del "toponimo" "Murtiou / Mur'tjOw / " = "Mirteto", ma della parola"axou /a'ZOw /" = "aceto" .



Comunque, egli stesso assimila esplicitamente "Murtiou / Mur'tjOw / " = "Mirteto" alla categoria di parole ed alla relativa spiegazione da lui fornita ed "esemplificata" su "axou /a'ZOw / " = "aceto". E anche le parole originarie (latine) possiedono eguale terminazione. Si hanno, infatti, in latino, "acetu(m)" e "myrtetu(m)", entrambe dotate di "e" tonica e lunga. Ma, relativamente all'evoluzione del genovese, l'equivalenza stabilita dal Bottiglioni non regge e se ne fornirà una motivata spiegazione nel paragrafo seguente.



Per altro, a fronte di quanto finora - documentatamente - esposto - , il caso di Gino Bottiglioni, studioso non ligure, mostra quanto possa risultare aleatorio proporre teorie e spiegazioni "scientificamente attendibili" relative ad una lingua in mancanza di una "vera" ed "effettiva" conoscenza della stessa. Anche se si sono effettuate ricerche che implicano un certo approfondimento su alcune varietà "periferiche" della lingua ed anche se la preparazione culturale generale, in campo linguistico, è di livello accademico. Ma il genovese, per Gino Bottiglioni, permase un "soggetto" non direttamente né bene conosciuto, non agevolmente padroneggiabile. E, di conseguenza, ricco di profili oscuri, ignorati.


4) "DIFFERENZE" NELLA PRONUNCIA DI PAROLE GENOVESI - IN DIPENDENZA DAL FATTO CHE SI TRATTI DI "ESITI" DI "EVOLUZIONI LINGUISTICHE" "STORICAMENTE ANTICHE" O, TEMPORALMENTE, "PIÙ RECENTI" -



In riferimento a quanto esposto nell'articolo scritto dal professor Bottiglioni, occorre chiarire che si è proceduto avvalendosi del toponimo "Murtiou /Mur'tjOw/", citato dal Bottiglioni stesso ed incluso nella "categoria" delle parole di cui egli intende spiegare l' "evoluzione" , piuttosto che del sostantivo "axou /a'ZOw / " = "aceto" , scelto dal Bottiglioni come "rappresentante della categoria" .

Perché:



4.1) ferma restando l'elencazione dei "difetti" insiti nella logica adottata ;



4.2) riconoscendo, ovviamente, che la base di partenza - latina - di "Murtiou /Mur'tjOw/" = "Mirteto" e di "axou /a'ZOw/" sono "assimilabili" ;

il Bottiglioni non pare rendersi conto che, in genovese, "Murtiou / Mur'tjOw/", ed "axou / a'ZOw / " non presentano eguale "esito". "Murtiou / Mur'tjOw / ", infatti, "contiene" la "semiconsonante" /j/ che "axou /a'ZOw/" ha perduto.. E , quindi, oggettivamente, i due esiti surriferiti non coincidono.



Pur ammesso che "axou / a'ZOw / " abbia, nel corso della propria evoluzione linguistica, posseduto il "fonema" /j/, dalla "contiguità antica" di "x+i", cioè / Z+ j / " si ebbe univocamente /Z/ e non /Zj/ . Infatti, si ha "axou / a'ZOw / " e non "axiou / a'ZjOw / " (2).

Occorre, inoltre, tenere presente che:

4.3) la forma "axejju" proposta dal prof. Bottiglioni per il genovese urbano è solamente una sua personale "ricostruzione", non confermata da alcuna grafia antica;

4.4) l'ipotesi - ammessa in modalità "totalizzanti" dallo studioso - che da "e" lunga latina - anche davanti ad altra vocale - si sia sempre "sviluppato" il "dittongo discendente" /ej/ non è affatto vera in tutti i casi per quanto concerne la lingua genovese urbana. Ed esistono esempi in contrario (7);

4.5) nessuna delle "grafie antiche" - "axeao", "axao" e "axaou" - riferite dal Bottiglioni, che, per altro, non cita le fonti, può valere a convalidare l'ipotesi "axejju". Tutt'altro ! A parte l' "e" della grafia "axeao" che può rappresentare un effettivo "xi /Zj/" (4) invece di un "successivo" "x/Z/", dato che, relativamente all' "evoluzione" della parola "axêu" - come per quella di "Murtêu" - , non può avere alcun senso ipotizzare alcuna "transizione" attraverso un "timbro vocalico" quale "a", molto semplicemente, la "corretta interpretazione" delle grafie citate implica che le "terminazioni" "-ao", "-ao" ed "-aou" sono state "mutuate" - per "analogia" - da quelle dei participi passati della I coniugazione verbale e che, quindi - come questi ultimi - , venivano pronunciati /'Ow/. Il dato non può che confermare la tesi esposta a confutazione di una derivazione da un ipotetico "axejju" in ambito urbano. Va, inoltre, notato che, nei participi passati, l' "a" veniva mantenuta unicamente a motivo di "consapevolezza etimologica". Infatti, "esiti" quale "cantou /kaN'tOw/" = "cantato" derivano da forme precedenti del tipo "cantâu /ka'Nta:u/" = "cantato", ancora vive nella valle dell'Aveto ed in altre zone in cui la pronuncia locale si è "fermata" senza "accogliere" le posteriori "evoluzioni urbane" . L' "evoluzione cittadina" ha realizzato un' "apofonia" - "cambiamento di suono" - del "fonema" "a" cui è stato sostituito /O/, "immediatamente contiguo" al timbro di /u/ - finale di parola - .


5) "DINAMICA" DELLA "TRANSIZIONE" TRA "TIMBRI VOCALICI" NELLA LINGUA GENOVESE

5.1) PERCORSI "APERTI" NELLA "DINAMICA" DI "TRANSIZIONE"



Nella situazione esposta relativamente alla forma plurale "pescuei /pe'skwej/" = "pescatori", nella quale l' "ergonomia dinamica" della lingua "realizza" /Oej/ il cui "esito stabile" - come sopra riferito - è /'wej/ (4) , si può ravvisare realizzata una "quasi-simmetria" con la situazione dianzi esposta e relativa a "Murtiou / Mur'tjOw / " = " Mirteto ". Nella "base di partenza" - "pescoi" - si ritrovano accanto la vocale "o" avente "timbro" "velare" - cioè, "prodotta" nella parte "posteriore" della cavità orale - e la vocale "i", dotata, invece, di caratteristiche palatali - "realizzata", cioè, nella parte anteriore del cavo orale. "Si parte" , quindi, da vocali appartennenti a due "classi" distinte.Si "opera", nella situazione relativa a "pescuei / peskwej / " = " pescatori" , nella "direzione opposta" a quella che ha fornito "Murtiou / Mur'tjOw / ". Si passa dall'/O/ di "pescoi / pe'skOj / ", cioè da un timbro appartenente alla gamma dei fonemi "vocalici posteriori" al timbro più alto delle vocali "anteriori" mediante una "transizione" attraverso /e/ - il timbro "anteriore" "più vicino" ad /i/ - . E la vocale /i/, come evidenziato nel diagramma che riporta i fonemi vocalici, risulta "caratterizzata" dal "timbro" più "alto" della gamma dei "fonemi vocalici anteriori" . Come conseguenza, l' "esito" dell' "evoluzione" "pescuei /pe'skwej/" contiene un' "u" "semiconsonantica" - soluzione "standard" in genovese per l"o" precedente a vocale o dittongo (4) - seguita dal "dittongo discendente" "ei/'ej/". Si consegue, cosi', un' "ottimizzazione" nel senso di "minimizzazione" dello "sforzo fonico" - "energia" impiegata per la pronuncia - . In quanto l' "e" e l' "i" sono - entrambi - "timbri vocalici" prodotti nella zona "anteriore" del cavo orale e "vicini" tra loro. I rispettivi "posizionamenti" degli "organi fonatori" preposti alla loro pronuncia non richiedono "riassetti" "significativi" nel passaggio da un timbro al successivo.

Mentre, nel caso di "u Murtêu" , in genovese, si parte da una vocale "anteriore" ( cioè, "prodotta" nella parte anteriore della cavità orale" ) - l' /e/ - per giungere alla vocale "più alta" tra quelle "posteriori" ( "realizzate" nella parte posteriore del cavo orale" ) e, cioè, l' /u/ . Vocali, quindi - l' /e/ e l' /u/ - appartenenti, a due "classi" diverse, cosi' come appartengono a due "insiemi" diversi le vocali "o" ed "i" di "pescoi". A partire da "Murtêu" l' "ergonomia" del genovese appare richiedere - prima di arrivare alla più "alta" "vocale posteriore" - una "transizione" attraverso la posizione corrispondente ad /O/ - "o" aperta, non esistendo l' "o" chiusa nel genovese (3) - , vocale dal "timbro" meno "alto" di /u/, prima di completare la "dinamica fonetica" sul "timbro posteriore" più "elevato" , che è /u/. Codesti sono i fatti. Cioè, una "transizione" della tipologia "e(o)u" . E, poi, naturalmente, interviene la "semiconsonantizzazione" di /e/ in /j/ a fornire "j-o-u", cioè /'jOw/ . In definitiva, l'esito "Murtiou/Mur'tjOw/" presenta un' "i" "semiconsonantica" - soluzione "standard" in genovese per per l"e" che preceda vocale o dittongo (4) -, seguita dal "dittongo discendente" "ou/'Ow/". Si verifica, in questa situazione, la stessa tipologia di "ottimizzazione" descritta a proposito del dittongo "ei/'ej/" nel caso di "pescuei /pe'skwej/" (5). Infatti, non essendo presente la vocale '"o" chiusa nella lingua genovese (3), il "dittongo discendente" "ou/'Ow/" di "Murtiou /Mur'tjOw/" "unisce" due "timbri" "contigui" - analogamente a quanto si verifica in /ej/ - e "termina" nella "posizione" del "timbro" vocalico più "alto". solo che, in questo caso, tutto ciò si riscontra nell'ambito della classe delle "vocali posteriori", pronunciate, cioè, nella zona posteriore del cavo orale .

5.2) "QUASI-SIMMETRIA" DELLA "DINAMICA" DI "TRANSIZIONE" NEI PERCORSI "APERTI"

S'è scritto di "quasi-simmetria" tra le due "transizioni vocaliche" esaminate, perché - nel caso di "pescuei / pe'skwej / " - ci si può spingere fino al "timbro anteriore" e "chiuso" di /e/ che, come già esposto, non trova, in genovese, esatta corrispondenza nell'insieme delle vocali posteriori. Cioè, in "pescuei / pe'skwej " si può "transitare" per un timbro "anteriore" più "alto", mentre la gamma dei timbri vocalici posteriori non poteva consentire ciò nel caso di "Murtiou / Mur'tjOw /", essendo la gamma delle vocali posteriori priva della casella corrispondente all' "o" chiusa (3). Esistente in "italiano standard", ma non in genovese



Diagramma vocalico della lingua genovese
timbro più alto
v
o
c
.
a
n
t
.
iyu
eø
EO
a
v
o
c
.
p
o
s
t
.
timbro meno alto
Diagramma vocalico della lingua italiana
timbro più alto
v
o
c
.
a
n
t
.
iu
eo
EO
a
v
o
c
.
p
o
s
t
.
timbro meno alto

Il genovese, infatti, viene a trovarsi "asimmetrico" - rispetto alla condizione dell' "italiano standard" - dotato, com'è, di cinque vocali anteriori ( /E/, /e/, /ø/, /i/ ed /y/ ) e due sole vocali posteriori ( /O/ e /u/ -, mantenendo, pur sempre, al vertice del diagramma l'/a/, come nell' "italiano standard".

Le situazioni di "transizione" in precedenza illustrate implicano, ovviamente, "dinamiche" "in cui la lingua deve muoversi nel cavo orale e passare, ad esempio, dal timbro di /e/, che si trova tra le vocali "anteriori" - rappresentate a sinistra nel diagramma vocalico - , fino al timbro più "elevato" - /u/ - della gamma delle vocali "posteriori" della lingua genovese. Le definizioni di "anteriore / posteriore " - cosi' come quelle di "alto / basso " fanno, evidentemente, riferimento al posizionamento della lingua all'inteno del cavo orale ( "davanti / dietro" - "in alto / in basso ) ed alle situazioni intermedie. Senza potere entrare in dettagli specialistici, va, comunque, fatto notare che il diagramma "tradizionale" presentato è puramente "ideale" e non corrisponde all'effettivo movimento che compie la lingua all'interno della cavità orale per "produrre" i "timbri vocalici" elencati. Una rappresentato più "realistica" richiederebbe una diversa e più accurata "descrizione geometrica".

5.3) PERCORSI "CHIUSI" NELLA "DINAMICA" DI "TRANSIZIONE"

Se si ritiene, si può anche produrre, in genovese, l'esempio di un "percorso chiuso". Tramite l'esame della pronuncia di "turniuei / tur'njwej/ ", plurale del sostantivo "turniou /tur'njOw / " = "tornitore " (6). Tenendo conto di vocali nel senso "lato" del termine, si parte dalla casella "anteriore" di timbro più "alto" ( /i/ --/j/ ) per passare a quella "posteriore" più "alta" ( /u/ -- /w/ ) per,poi, "chiudere" la "dinamica" con /e/ e ( /i/ -- /j/ ) , entrambe caselle "anteriori",contigue, in cui l' /e/ rappresenta il "timbro" immediatamente meno "alto" della gamma delle caselle posizionate sul segmento che allinea i "timbri anteriori".

In riferimento a quanto descritto in precedenza, si può citare - quale ulteriore esempio relativo al '900 - la pronuncia "i ueive /'jwejve /" = "le olive" (8). L' "evoluzione del "dittongo discendente" /Oj/ nel "trittongo" "ascendente" /'wej/ faceva parte - nel corso del Novecento - del "registro linguistico" borghese urbano. Considerazioni sulla situazione linguistica dell'ambiente più "popolare" e - in particolare - riferimenti alla "variante linguistica" "portoriana" verranno affrontate in altra occasione.

Sono stati descritti - mediante "opposizione" delle "direzioni dinamiche" - due esempi di "quasi-simmetria" di "transizioni vocaliche" ed altrettanti due esempi di "dinamica vocalica chiusa", in cui, cioè, risultano essere coincidenti il punto d'arrivo ed il punto di partenza del movimento.

Ovviamente, mentre la "produzione" di un "timbro vocalico" può essere riguardata come un "fatto fonetico" "statico" - la posizione è identificabile ed è una - , appare corretto - pur nella "semplificazione rappresentativa" inerente al diagramma vocalico illustrato- attribuire la valenza della "dinamicità" alla "realizzazione" - ad esempio - di dittonghi formati da due "timbri vocalici", dal momento che, per quanto i timbri stessi possano essere "contigui", la lingua deve pur effettuare un sia pur minimo movimento. Non si possono "produrre" dittonghi in situazioni di "totale staticità" .





6) COMPORTAMENTO OMOGENEO TRA FONETICA DI SINGOLE PAROLE E AMBITO FONOSINTATTICO



Va, in definitiva, ribadito, per quanto concerne la "gestione" degli "incontri vocalici" mediante "timbro" di "transizione", che si aveva lo stesso "comportamento" tanto in situazioni "fonosintattiche" - "crasi" tra parole differenti - quanto all'interno della singola parola.



Infatti, l'"incontro vocalico tra "o" ed "i" forniva l' "esito" /'wej/ - nella pronuncia novecentesca "verace" - con identiche modalità sia in "crasi" - tra parole - sia quale "risultato" d' "incontro vocalico" avvenuto nell'ambito di parole singole (4).:

6.1) la frase scritta in grafia "tradizionale" "gh'ho i faxolin" veniva pronunciata ricorrendo alla "crasi" e si aveva "gh'hu-e-i faxulin / 'gwej ,faZu'lin / " ;



6.2) come da "pescoi / pe'skOj /" s'ebbe "pescuei /pe'skwej /" , la pronuncia più "genuina" di "l'oliva" era "l'ueiva / 'lwejva /" e, in un registro linguistico "decentemente" borghese e non ancora totalmente "italianizzato", si diceva "vîa Gueitu / 'vi:a 'Gwejtu /" per "via Goito" (8) - adottando per un toponimo non locale né ligure le "strutture caratteristiche" della pronuncia genovese - .



Analogamente, la lingua genovese esibiva "comportamenti omogenei" in relazione ad "incontri vocalici" tra vocale "e" e vocale "u" - mediante la "transizione" attraverso il timbro di "O" - sia per il caso di "crasi" - incontri tra parole distinte - sia all'interno di una stessa parola:

6.3) "se u vuriô" era pronunciato "sj-o-u vuriô / 'sjOw vu'rjO: / " = " se lo vorrò " et c. ...;



6.4) "u Murtiou / u Mur'tiOw / " era la pronuncia derivata da un'antica forma "Murtêu" .

Chiaramente, nell'individuazione di una "posizione vocalica" "posteriore" meno alta di /u/, l'opzione della lingua genovese in favore di /O/ - "o" aperta - è "obbligata", non essendo presente il timbro chiuso di "o" (3). Mentre, nella rappresentazione "idealizzata" del diagramma vocalico, l' "italiano standard" gode di totale simmetria - tre vocali anteriori ( /E/, /e/ ed /i/ ) più tre vocali posteriori ( /O/, /o/ ed /u/ ) con un unico timbro vocalico di /a/ "al vertice".





7) CONCLUSIONI

L'esame relativo alla lingua genovese del fenomeno linguistico fonosintattico della "crasi" - tra parole - conferma gli "esiti " che si ottengono da "incontri vocalici" che si sono verificati all'interno di una stessa parola.

E, più in generale, pare confermare DUE IMPORTANTI PRINCIPI che vanno valutati come "cardini" per quanto attiene alla FONETICA VOCALICA GENOVESE.

7.1) "AVVICINAMENTO" - "APOFONIA" - DI "TIMBRI VOCALICI" APPARTENENTI ALLA STESSA SERIE ( "ANTERIORE" / "POSTERIORE" )

7.1.1) Vale l' "apofonia" tra "timbri vocalici" "vicini" - cioè, il "mutamento"e, più precisamente, nel genovese, l' "avvicinamento" - , se gli "incontri vocalici" avvengono tra "timbri omogenei". Ad esempio, si ha /'Ow/ da /'aw/, realizzando - "ergonomicamente" - "contiguità" ( /O/ + /u/ ) nell'ambito della serie delle "vocali posteriori" .

7.1.2) Si può anche "produrre" "monottongazione", in cui si perviene - a partire da due vocali diverse - ad un unico "timbro" .



7.2) INVARIANZA DELL' "ALTEZZA" DEI "TIMBRI VOCALICI" COINVOLTI NELLA "DINAMICA" DI "TRANSIZIONE" DA UNA" SERIE VOCALICA" - ( "ANTERIORE" / "POSTERIORE" ) ALL'ALTRA



7.2.1) Si realizza - come in "u Murtiou /u Mur'tjOw/" = "il Mirteto" e nel plurale "pescuei /pe'skwej/" = "pescatori" - LA TRANSIZIONE DI TIMBRO DA UNA SERIE VOCALICA ALL'ALTRA - da anteriore a posteriore e vice versa -, MANTENENDO L'INVARIANZA DELL'ALTEZZA DEL TIMBRO VOCALICO, quando l' "incontro vocalico" avviene tra "timbri vocalici" non appartenenti alla stessa serie.

Ciò implica, relativamente alle situazioni prese in esame, "basi di partenza" "antiche" quali "Murtêu" e, ad esempio, "pescôu", che proviene, appunto, da "pescâu " - a sua volta, proveniente da "pescaû" - col relativo plurale "analogico".

Cioè, vocali lunghe.

Proprio come ebbero vocali lunghe gli "antichi" participi passati della I coniugazione - quale "purtâu /pur'ta:u/" = "portato" che, al singolare, dette - al singolare (5) "esito" identico a "pescou /pe'skOw/" = "pescatore" e, precisamente, "purtou /pu'rtOw/" = "portato" .

E "incontri vocalici" "rappresentabili" come "e(e)u" o "o(o)i".

E presuppone , in "occorrenze" "storicamente" più "recenti", quali "l'ueiva /'lwejva/" = "l'oliva," e "vîa Gueitu / 'vi:a 'Gwejtu/" = "via Goito", "almeno" l' "instabilità" - non accettata dal "registro urbano" ad eccezione della "variante portoriana", mai documentata e già "estinta" dopo la II Guerra mondiale, - insita nella "dittongazione" di /O/ ed /i/.

Il "fenomeno linguistico" "conclusivo" e "unificante" rispetto alle "occorrenze" trattate risulta "rappresentabile" mediante la "transizione vocalica" da "e(e)u" a "e(o)u" e quella da "o(o)i" a "o(e)i" .

La seconda vocale - "e" od "o" - viene "sbalzata" da una serie all'altra - dall' "anteriore" "e" si ha una "transizione" verso la "posteriore" "o" e, inversamente, nel secondo caso sopra esposto - restando immutata unicamente l' "altezza" del "timbro vocalico" - , fatto che consente di conseguire l'obiettivo di "realizzare" i "timbri" /O/ ed /e/ - rispettivamente - "contigui" alla vocale "u" o alla vocale "i".





NOTE



(1) Dal punto di vista socio-linguistico si può osservare che la "crasi" veniva - prevalentemente - realizzata tramite "dittongazione" in ambito "borghese", mentre si aveva una prevalenza della realizzazione mediante "assimilazione" dei" timbri vocalici" "contigui "coll' "esito" di "vocali allungate" nell'ambiente "popolare".



(2) Va, per contrasto, osservato che il "nesso "xi / Zj/ " può, invece, essere ancora riscontrato in "esiti" "storicamente" "più recenti". Infatti, il corrispondente genovese di "tacerà" - sottintendendo un soggetto "maschile" - è " u taxiâ / u ta'Zja: / ", in cui si possono ben "apprezzare" tanto il fonema l"x /Z/" quanto la "semiconsonante"' "i /j/ " . Ciò perché la forma verbale di cui si tratta è assai meno "antica" dell' "esito" di "axou / a'ZOw / " . Essa trae origine dalla forma di "ancien régime" " u ta:xerà / u 'ta:Ze'Ra / " . Futuro tuttora "vivo" in zone "legate" a pronunce "arcaiche". Mentre, d'altronde, è, ormai, chiaro che risulterà impossibile riscontrare un'ulteriore "evoluzione della lingua che possa condurre ad una "forma verbale" quale " u taxâ / u ta'Za: / " - cioè, priva di /j/ - , perché la lingua terminerà il suo lungo "ciclo vitale" insieme con gli ultimi parlanti. Eventuali "cultori" potranno "occuparsene ( ?! ) " - come (?! ) - ancora per qualche tempo a venire. Anche se è assai poco probabile poter ipotizzare una lunga durata dell'interesse in merito. Ma su quale base di certezza storica - una volta che risulti totalmente estinta la lingua, oggi ancora "documentabile", ma, nell' "uso" , ormai gravemente "mutilata" nelle proprie capacità di espressione - ? Con quale attendibilità ? E con quale consapevolezza di discernimento tra "fatto storico" e "favola" ? Cognizione che già - oggigiorno - nei "cultori" - e non solo - appare confusa. E ciò rimanga scritto senza alcun giudizio di merito tra "dato di fatto" e "favola" . Forse, sono dalla parte della ragione i "cultori" e sono meglio le favole. L'importante sarebbe - indipendentemente dall'opinione individuale - serbare una ragionevole distinzione tra "fatto realmente accaduto" e "favola". Di modo che, almeno, chi vuole possa scegliere consapevolmente - se fosse interessato - tra "realtà" - anche se "trascorsa" - e "fiction". .



(3) Retaggio dell'assenza di un' "o" chiusa in genovese e della mancata "produttività" di /ø/ e /y/ parlando "italiano" era la pronuncia sempre aperta della vocale "o", anche quando la lingua italiana avrebbe richiesto timbro chiuso. Questo è un ricordo molto distinto in chi è nato prima dell'affermarsi , dapprima, delle trasmissioni televisive in Italia e, in seguito, dell 'ambiente delle comunicazioni del "global village". La conoscenza diretta di altri sistemi linguistici ottenuta senza doversi alzare dalla poltrona del salotto ha reso più "flessibile" il comportamento della pronuncia dell' "italiano di Genova". Anche se permangono tuttora apprezzabili tipologie di caratterizzazione che, poco notate dai Genovesi, sono ancora avvertite piuttosto nettamente da parte degli altri Italiani.

(4) A questo punto della trattazione, si ritiene opportuno chiarire che, nelle situazioni di "incontri vocalici" che "producano" - in "crasi" e nell'ambito di singole parole - "dittonghi ascendenti" , sostanzialmente, cioè, quando uno dei "timbri vocalici" appartenenti al "gruppo" delle "vocali anteriori" ( /E/, /e/, /ø/, /i/ ed /y/ ) si trovi a"precedere" un'altra vocale, l' "esito" "semiconsonantico" corrispondente - per tutti e cinque i "timbri" sopra elencati - viene "realizzato" come /j/. Le rare eccezioni che si possono riscontrare sono dovute all' "esigenza" del genovese di evitare "dittonghi omofoni" - cioè, dotati dello stesso suono - . Ad esempio,prima della vocale /i/, il "timbro vocalico" di /y/ non diventa /j/, bensi' /w/. E, a differenza di "scy^u /'sky:u/" = "scuro" , si ebbe "s'ascuîsce / "sa'skwi:Se" = " si fa scuro/buio". Come, in contrasto con "arsûa /ar'sy:a/" comunemente usato per designare le "screpolature della pelle", si ottenne "arsuîju /ar'swi:ju/" = "riarso ( riferito al terreno)" et c. ... . Ancora nel genovese di ancien régime di "buon registro" , i "timbri vocalici" riferiti negli esempi non "possedevano" "contatto diretto", in quanto le parole corrispondenti venivano, rispettivamente, pronunciate /'Sky:Ru/ ed /ar'sy:Ra/, come tuttora in zone in cui la lingua ha mantenuto caratteristiche "arcaiche". Inoltre, in conformità alla "regola generale", alla "forma verbale" dell'infinito presente "italiano" "gelare" - in genovese "ziâ" - corrisponde, a Genova, nel Novecento, la pronuncia /'zja:/ e non altra. Anche se si può riscontrare - nelle grafie "tradizionali" - la scrittura "zeâ /'zja:/", nessuno adottava, in città, una pronuncia "bisillabica" e non si ascoltava alcun "timbro" di /e/, bensi' il "dittongo ascendente" /'ja:/ di ziâ /'zja:/" = "gelare". La grafia "zeâ" non corrispondeva già più , nel Novecento, almeno, alla pronuncia "urbana" - e non solo - del verbo, esclusivamente "monosillabica", cioè "ziâ /'zja:/" = "gelare". La pronuncia dotata di due sillabe non apparteneva, nel corso del Novecento, al parlato "cittadino", ma era caratteristica di zone in cui l' "eliminazione" dell' -r- intervocalica, "propagatasi" a partire dalla città, era giunta più tardi e dove, quindi, si pronunciava , ancora, /ze'a:/ . D'altronde, esistono tuttora - anno 2.005 - zone caratterizzate da pronuncia "arcaica", in cui "gelare" è ancora rimasto allo stadio "dze'Ra:/ .Per completezza di trattazione si ritiene di riferire che, nel Novecento, in città - solamente nel caso di /y/ - esisteva anche la "pronuncia semiconsonantica" di /y/. Identica a quella francese riscontrabile in "nuit /'nyi/" = "notte", "huile /'yil/" = "olio", "huit /'yuit - yi in "fonosintassi francese" davanti a "consonante" - /" = "otto" et c. ...

Era il caso - a titolo di "esemplificazione" - dell'equivalente genovese di "sudare" pronunciato anche /'sya:/ - non si impiega, per agevolare una più immediata leggibilità, il "simbolo fonetico" "H" adottato nel sito, che denota il "suono" "semiconsonantico" di /y/ - . Anche /'sya:/, per altro, risulta un monosillabo, proprio come si verifica nella pronuncia più comune - /'sja:/ -. Dal momento che la città aveva già "raggiunto" l' "esito" /'sja:/ , la pronuncia /'sya:/, oltre ad essere meno diffusa, veniva reputata meno "verace" e veniva considerata ed avvertita - pur essendo, in effetti, una "ricostruzione" di uno "stadio linguistico" "anteriore" nel tempo - come un' "italianizzazione". A motivo del fatto che "si reputava" - tramite il "timbro" di /y/ - di "avvicinarsi" maggiormente al "timbro" /u/ della parola "sudare" dell' "italiano standard".

Mentre, per quanto concerne il "gruppo" delle "vocali posteriori", - /O/ ed /u/ - la "corrispondenza semiconsonantica", che si verifica quando i "timbri" sopra elencati precedono altre vocali e si verificano "dittonghi ascendenti" - sia in "crasi" sia all'interno di parole singole - , si realizza per mezzo della "semiconsonante" /w/.

(5) Va osservato che i "plurali" in "-uei/-'wej/" ricavati mediante "procedimento analogico" ed "identificazione" di "timbri vocalici" di "transizione" a partire dai rispettivi singolari in "-'ou /'Ow/" distinguono i "nomina agentis" - i sostantivi che designano colui che compie l'azione definita dal relativo verbo - dai participi passati del verbo stesso - nel caso in esame appartenente alla I coniugazione - . Si cita un esempio banale. "Purtou /pur'tOw/" - al singolare - significa tanto "portato" - participio passato del verbo "portare" - quanto "portatore" - "nomen agentis" - ad esempio, del "ruolo" utilizzato nelle processioni delle "Casacce". Mentre, al plurale, si ha distinzione. E, infatti, il plurale di "purtou /pur'tOw/" - nell'accezione di "portatore" - è "purtuei /pur'twej/" = "portatori" , proprio come avviene nel caso di "pescuei /pes'kwej" = "pescatori". Ma si ha "purtæ /pur'tE:/" - al plurale - per "portati", che, in genovese, a differenza di quanto avviene nell' "italiano standard" , coincide con il femminile. I participi passati mantengono plurali "etimologici" e da "forme" "antiche" quali "purtâi / purtâe" si è avuto un unico "esito" - "indifferenziato", al plurale, tra "genere" maschile e femminile - , che non presenta "dittongazione", ma il "timbro" di /'E:/ - "e" aperta e lunga - . Evoluzione in cui si è verificata "convergenza" su un unico "timbro vocalico" "intermedio" appartenente alla "serie" delle "vocali anteriori". Una "contazione vocalica" - si passa da due vocali distinte ad una sola - , anche nel senso della "riduzione" dell' "energia di pronuncia". Al contrario, i sostantivi terminanti in "-'ou /'Ow/" - che NON siano participi passati - assumono plurali "originariamente" "analogici" e, in seguito, "evolutisi" in "-'uei /'wej/", come già illustrato. E dai singolari "mercou /mer'kOw/" = "mercato", "balou /ba'lOw/" = "pianerottolo" , "lou /'lOw/" = "lavoro" - "popolare" rispetto al sostantivo "borghese" e più comune ( non solamente in città ) "travaggiu /travaddZu/, mentre, anticamente , "lou" era anche il termine corrispondente a "lato" , - et c. ... si hanno, rispettivamente, i plurali "mercuei / mer'kwej/" = "mercati", "baluei /ba'lwej/" = "pianerottoli", "luei /'lwej/" = "lavori" et c. ...

(6) Va osservato, per esaustività di trattazione, che nella lingua genovese, oltre a sostantivi del tipo di "u Murtiou /u Murt'jOw/" = "il Mirteto", esistono altre "occorrenze" di parole dotate del "trittongo" /'jOw/. Ma quelle che non risultano "assimilabili" alla categoria di "Murtiou /u Mur'tjOw/" sono sorte per "analogia" e non vengono prese in considerazione in questo articolo, perché non "condividono" la stessa "dinamica" che è stata alla base dell'esito surriferito.

(7) Un contro-esempio - tra altri della stessa tipologia e che, perciò, omettiamo di citare - dimostra come "e" lunga latina non sempre ha fornito l'"esito" rappresentato dal "dittongo discendente" /ej/. Ad esempio, nel presente del condizionale "hauerea / 'a:ve'Re:a/" - l' /e:/ "originaria", come sotto spiegato, nel tempo si "apri' in /'E:/ - = "avrebbe" - dovuto al poeta genovese Paolo Foglietta ( circa 1.520 - circa 1.596 ) e riscontrabile nel volume "Rime diverse, in lingua genovese, molto dilettevoli per la novità e varietà de' soggetti, con nuoua giunta di alcune hora date in luce , dedicate al Signor Oratio Ceua. Stampate in Torino, ad instanza di Bartolomeo Calzetta e Ascanio de' Barberi. 1.612. Si tratta di una "variante" rispetto alla forma del condizionale "avereiva /'a:ve'Rejva/" - I e III persona singolare - = "avrei / avrebbe". "Variante" in cui è stata "eliminata" la -v- intervocalica ( caratteristica "popolare" ) ed in cui appaiono essersi trovate "in contatto" le vocali "e" ed '"a", senza il "passaggio" della vocale "e" del genovese derivata da "e" lunga latina nel "dittongo ascendente" /ej/. "Esito", dunque, "storicamente" antico. In epoca - "comparativamente" - più recente, a valle dell' "eliminazione" generalizzata dell' -r- intervocalica, le due forme verbali citate presentano "continuità" - ad esempio, alla III persona singolare - , rispettivamente, nelle attuali " u l'aviæ / u la'vjE:/" = "(lui) avrebbe" e "u l'avieiva /u la'vjejva/" di identico significato. La "forma verbale" "u l'aviae/u la'vjE:/" = " (lui) avrebbe" , come quella da cui origina, è di "registro" più "popolare" e deriva da "u l'a:veRêa /u 'la:ve'Re:a/", in cui, "caduta" l'-r- , s'ebbe "u l'aveêa", da cui "u l'avjêa" ( l' "e" che precede vocale - in questo caso "omofona" - si trasforma nella "semiconsonante corrispondente" /j/ )e, come "esito finale" , "u l'avjæ /u la'vjE:/" = " (lui) avrebbe". In cui i "precedenti" "timbri vocalici" di /e/ ed /a/ hanno "subito" -ognuno - , prima di divenire un'unica vocale lunga - un' "apofonia" che li ha "trasformati" nel "timbro anteriore" /E/ - e aperta - , che risulta - tra loro - "intermedio".

Per quanto, invece, concerne la forma verbale del condizionale "u l'avieiva / u la'vjejva/" = " (lui) avrebbe" , il processo di "derivazione" è più semplice, perché - "eliminata" l'-r- da " u l'a:veReiva /u 'la:ve'Rejva/" = " (lui) avrebbe" - la forma "u l'aveeiva" raggiunse - "regolarmente", come di seguito illustrato - l'attuale "stadio evolutivo".

Rappresentato, appunto, da "u l'avieiva / u la'vjejva/" = " (lui) avrebbe" . Sempre perché l' "e" che precede vocale - in questo caso "omofona" - si trasforma nella "semiconsonante corrispondente" /j/ . Si reputa opportuno far notare che, a differenza dell' "italiano" che forma il presente del condizionale mediante "infinito del verbo + forme derivate dal passato remoto di avere " ( avrebbe da "avere ebbe" ) , la lingua genovese si avvale dell'imperfetto dell'indicativo al posto del passato remoto. Cioè, in genovese, il presente del condizionale si ottiene tramite "infinito del verbo + forme derivate dall'imperfetto di avere". Nel caso in esame, tra l'altro, il verbo preso in considerazione risulta proprio essere lo stesso ausiliare "avere" e, quindi, si "compongono" forme appartenenti allo stesso verbo. Ciò avviene esclusivamente a causa della citazione del poeta Foglietta riscontrata. Ma la "regola di formazione"del condizionale esposta è del tutto generale , E per "sarebbe" - ad esempio - , come per gli altri verbi ,valgono esattamente le stesse considerazioni finora illustrate.

Altre forme verbali in cui l' "incontro" tra "e" lunga etimologica e vocale non produsse il "dittongo discendente" /ej/ si ebbero nell'imperfetto dell'indicativo. E lo stesso Paolo Foglietta sopra citato scrive "chiuuea / tSy've:a/" - l' /e:/ "originaria", come più sopra chiarito, , nel tempo si "apri' in /'E:/, come nelle "forme verbali" "simili" seguenti -= "pioveva", "hauea /av'e:a/" = "aveva", "hauean / a've:aN" e "parea / pa'Re:a/" = "sembrava", ma esse non verranno prese in esame nel presente contributo, perché non vennero "continuate" in città e, nel Novecento, gli "esiti" corrispondenti alle forme verbali antiche riferite appartenevano, ormai, unicamente a varianti linguistiche non urbane ( genovese del "contado", ad esempio ) . Si citano esclusivamente quale ulteriore conferma della veridicità delle affermazioni contenute nell'articolo - esistenza di "eccezioni" all' "evoluzione" in /ej/ di "e" latina lunga - .



(8) Per completezza d'informazione va notato che - nel corso del Novecento - le forme di plurale della tipologia di "pescuei /pe'skwej/" = "pescatori" erano "uniche" in città. E non coesistevano più con forme in "oi" - quali "pescoi" - , ancora riscontrabili nel secolo XVI e ancora "coesistenti" con plurali in /'wej/, come si può desumere dalla seguente citazione : "tenzoi, cuxoei e bancarè / scarzoei, tescioei, onzoei e zavatè / teN'zOj, ky'Zwej e baNka'RE: / skar'zwej, te'Swej, uN'zwej e sava'tE: / " = " tintori, sarti, e falegnami / cardatori, tessitori, conciapelli ( letteralmente, untori ) e ciabattini" . Poesia "affollata" da rappresentanti di antichi mestieri, opera di Vincenzo Dartonna e inclusa nelle "Rime diverse, in lingua genovese, molto dilettevoli per la novità e varietà de' soggetti, di nuovo date in luce in questa seconda impressione. Pavia . 1.595. Nel testo riferito, per altro, prevalgono - 4 su 5 - i plurali in /'wej/.

"L'ueiva /'lwejva/" = "l'oliva - ma, in genovese, come "di norma", indica anche l'albero" , invece, coesisteva ancora con la forma più "instabile" "l'oiva /'lOjva/" di identico significato - il "dittongo discendente" /Oj/ include "timbri vocalici" appartenenti a due diverse "serie" - . "L'oiva/ 'lOjva/" apparteneva al "registro" della "varietà linguistica urbana" denominata "portoriana" ( che "recepiva" il dittongo "asimmetrico" e, perciò, "instabile" /Oj/ - come verrà ampiamente illustrato in altro articolo - ) Le parole appartenenti al "portoriano" venivano , di norma, "epurate" e non riportate nei primi vocabolari del genovese - i successivi autori hanno , sostanzialmente, "copiato" dai primi - per assenza di "plausibilità sociale" . Risulta, invece, interessante osservare come, paradossalmente, i primi vocabolari della lingua abbiano "contravvenuto" al "tabu'" e riportato unicamente la forma "l'oiva/'lOjva/". Solo perché appariva "più simile" a quella "italiana". A discapito della forma "borghese" "l'ueiva / 'lwejva/" che, per altro, si trova documentata. In "l'oiva /'lOjva/", l' /O/ è "vocale posteriore", mentre l' /i/ è il timbro più "alto" tra quelli "anteriori". La "compresenza" - dovuta alla "variante portoriana" - di questa forma "foneticamente" "instabile" rispetto alla "struttura" del genovese urbano, mentre ciò, ad esempio, non si riscontra - in città - nel caso di "pescuei /pe'skwej/" = "pescatori" et c. ..., può essere motivata dalla "minore anzianità" della forma esposta Essa, infatti, deriva, a seguito dell'ormai nota "eliminazione" dell'-r- intervocalica, generalizzatasi in città a seguito della conclusione del regime aristocratico, da quella più "antica" - "l'o:rîva /'lO:'Ri:va/" = "l'oliva" .

(9) Mediante la lettera "R" ( erre maiuscola ) si indicherà, in tutto il presente testo, un "fonema" ancora presente - all'epoca dell' ancien régime, prima del prevalere della variante linguistica più schiettamente popolare - nella pronuncia genovese urbana di buon registro. La variante popolare riferita e tuttora parlata in città implica il "raggiungimento" del grado - 0 (zero) - , nella pronuncia, in luogo di " -R - ". Cioè, il "fonema" "R", indicato anche come "-R-", perché, prima della sua "caduta", esso ricorreva solamente in "posizione intervocalica", è stato "eliminato" dalla pronuncia e dall' "inventario" dei "fonemi" della lingua. Il "fonema" "-R-" non si pronuncia più e l'eliminazione del "confine di sillaba" che esso costituiva consentì la formazione di dittonghi tra vocali che venivano, di conseguenza, a "interferire" "direttamente" senza alcuna "barriera fonetica". All'epoca menzionata - prima, cioè, del crollo del regime aristocratico - il fonema si presentava, ormai, in genovese - come già riferito - , solamente in "posizione intervocalica". Esso traeva origine dall' "assimilazione" in un unico "fonema" tanto di "-r-" quanto di "-l-" "intervocaliche" etimologiche, le quali, in particolari condizioni ed a causa di "similitudine" delle rispettive pronunce - nelle particolari condizioni citate e su cui verranno forniti alcuni cenni nel seguito, "si fusero", appunto, nel fonema "R" .

Una delle "condizioni" citate e l'ultima - nel tempo - in cui "si conservò" il "fonema" "-R-", a Genova, consisteva - appunto - nella "posizione intervocalica".

Nelle rime dell' "Anonimo genovese" - tra cui quelle più "motivatamente" databili risalgono ad un periodo circa compreso tra l'ultimo decennio del sec. XIII ed il primo decennio del sec. XIV - si possono leggere grafie quali "teira" = "tela" e "scara" = "scala".

Si mantiene la definizione di "Anonimo" non per pedissequo "tradizionalismo", ma , perché quanto di lui gli studiosi hanno desunto dalle sue stesse poesie non è chiaramente sufficiente a delinearne una connotazione "storicamente" identificativa.

Le rime dell' "Anonimo genovese" furono "ritrovate" nell'anno 1820, in una versione manoscritta, ma non originale.

Anche per questo motivo, la grafia non risulta essere uniforme e, talora, di una stessa parola esiste un numero elevato di "rappresentazioni grafiche" diverse.

Ciò chiarito, occorre scrivere che sono state scelte due parole "ragionevolmente semplici" e la cui grafia è, sostanzialmente, continuata fino al crollo dell' ancien régime e delle relative "convenzioni" - "fonetiche" e "grafiche".

Circa, dal 1291 al 1797 - almeno cinque secoli - .

Sono state assunte a riferimento, come "date convenzionali", l'anno - 1291 - in cui il pontefice Nicolò IV emanò un divieto di commercio col quale si può ipotizzare un riferimento contenuto in una poesia dell' "Anonimo" e l'anno dell'istituzione della "Repubblica ligure" - "creatura" della politica napoleonica - , avvenuta il 14 giugno 1797 ( il 26 pratile dell'anno V - secondo il calendario "rivoluzionario" - ) .

La pronuncia di ancien régime prevedeva "teira /'tejRa/" = "tela" e "scâra /'Ska:Ra/" = "scala".

Pronunce tuttora praticate in zone "relegate" che, per questo motivo, hanno conservato caratteristiche linguistiche "arcaiche", mentre in città gli esiti attuali sono "tejja /'tejja/" = "tela" e "scâ /'ska:/" = "scala".

Il termine "scâa /'ska:a/" = "scala" adottato da alcuni "cultori" è "spurio" per quanto riguarda la città di Genova e risulta relativo a zone in cui l' "eliminazione" di "-R-" avvenne più tardi rispetto alla città ed in cui i due "timbri" di "a" - uno lungo ed uno breve - non fecero - cosi' - in tempo a "fondersi" in un'unica "a" lunga.

Alcuni "cultori" l'adottano, poiché, anziché dalla lingua "viva", l'hanno desunto da grafie di tipologia tradizionale.

Grafie che non rispecchiano la pronuncia della lingua genovese nel corso del Novecento, ma che furono "plasmate" su Vocabolari che copiarono pedissequamente grafie di ancien régime, fornendo l'unico contributo di omettere la lettera "-r-" intervocalica corrispondente ad un "fonema" non più pronunciato.

Grafie che non si adeguarono mai alle "reali" "evoluzioni" della lingua, incluse quelle causate dalla "caduta" dell' "-R-" !

È ipotizzabile, per altro, che, ai tempi dell' "Anonimo", la pronuncia cittadina implicasse già "-R-" , perché :

1) altrimenti, i due "fonemi" non si sarebbero "fusi" ;

2) inoltre, il fenomeno che condusse ad "-R-" deve essere avvenuto prima dello "scempiamento" della consonante "etimologica" "r" "doppia" ( "-rr-" ) , perché, dopo lo "scempiamento" citato, su tutte le parole del tipo di "tera", cioè "tæra / 'tE:ra/" = "terra" , l' "evoluzione" di "-r-" (intervocalica ) in "-R-" non si verificò più. Aveva, ormai, perso "vigore" la "transizione" da "-r-" ad "-R-", mentre, permaneva - e durò fino all'epoca della Rivoluzione francese ed oltre ... - la pronuncia come "-R-" di "-r-" "etimologicamente scempia" , ormai "fusasi" con "-l-" ! Ma scritture del tipo di "tera" si possono già riscontrare per il secolo XI ! E il poeta cosiddetto "Anonimo" scrive le sue poesie più di due - 2 - secoli dopo ! Quindi, è lecito supporre pronunce in "-R-" in corrispondenza delle sue grafie relativamente al caso preso in esame.

Un'altra "situazione" che prevedeva il fonema "-R-" può ancora essere ricavata dalle rime dell' Anonimo genovese", tra le quali si possono leggere grafie quali "dar" = "dare", "far" = "fare", "mal" = "male" e "sal" = "sale".

Ciò parrebbe confermare che, anche in "posizione finale", la "fusione" dei fonemi "l" ed "r", all'epoca, fosse già stata raggiunta.

Oggigiorno, a Pigna, si pronuncia "'da:R/" = "dare", "'fa:R/" = "fare", "'ma:R/" = "male" e "'sa:R" = "sale", rispetto alla situazione genovese che, da molti secoli,ormai, in questo caso, conosce unicamente "dâ /'da:/" = "dare", "fâ /'fa:/" = " fare", "mâ /'ma:/" = "male" e "sâ /'sa:/" = "sale".

La variante linguistica di Pigna conserva tuttora una pronuncia che apparteneva alla lingua della città di Genova all'epoca dell' "Anonimo".

Anche se, data l' "eccentricità geografica" rispetto al capoluogo regionale, non è ragionevole supporre che l'attuale variante linguistica di Pigna possa rappresentare, in tutti i suoi aspetti, il genovese di epoche remote.

Inoltre, a ben riflettere, è ragionevole ipotizzare che la situazione riferita relativamente a /'fa:R/" = "fare" sia, comunque, riconducibile a quella inizialmente esposta, cioè ad un'antecedente "posizione intervocalica" "simile" a quella di "dare" dell' "italiano standard", nella quale, in seguito, si sia "affievolito", fino all'"estinzione", il "timbro" della vocale finale.

Ciò esposto, sorge immediata l'esigenza di verifica relativamente allo status di "fonema" di "R" - nel genovese di ancien régime, cioè nello "stadio linguistico" precedente a quello attuale ( privo di "-R-" in città e non solo - , dato che ne è stata sempre riportata la presenza in "occorrenze intervocaliche", quasi si trattasse unicamente di una "variante posizionale".

Cioè, una particolare pronuncia di un dato "fonema" che si produce esclusivamente in un contesto ben identificato e che non "contrasta" con nessun altro "fonema" appartenente alla lingua in esame.

In questo caso, non si avrebbe un "fonema" ulteriore.

In realtà, per quanto concerne "R", la definizione di "fonema" appare più appropriata, perché - anche se la "resa funzionale di contrasto" risulta essere assai povera, esisteva almeno una "coppia minima" di parole, il cui significato mutava, a seconda che si pronunciasse "r" anziché "R" e vice versa.

Infatti, "câru /'ka:ru/" significava "carro", mentre "câRu /'ka:Ru/" significava "caro".

Si potrebbe osservare - da parte di chi, oltre alla lingua risulti interessato anche alla storia della città di Genova - che "carri" - nel vero senso del termine - dovevano circolarne ben pochi nell'ambito della città, data l' "angustia" delle "comunicazioni viarie" esistente prima delle iniziali riforme dell'assetto urbanistico - avvenute, anche temporalmente, a seguito del crollo politico del regime aristocratico - .

Ciò è vero, come è vero per le carrozze, acquistate più per "ostentazione" che per reali possibilità d'impiego.

Chi poteva si faceva trasportare in "lettiga", gli altri andavano a piedi ...

Per accertarsene basta osservare una pianta d'epoca della città, da cui si può agevolmente comprendere quanto poche "strade" potessero "prestarsi" a veicoli quali i carri o le carrozze ...

Comunque, sebbene assai poco utilizzabile, date la situazione esposte, il carro era noto, ma il termine , prevalentemente, era più usato nell' "accezione marinaresca" relativa ad una parte dell' "antenna" delle galee e la pronuncia corrispondeva a quanto in questa nota indicato.

In certe epoche, vi furono certamente - per quanto riguarda Genova - più "carri" - di galee - in mare che in città.

Quindi, la "coppia minima" citata più sopra nella presente nota esisteva ed "R", pur riscontrabile solamente in "contesti intervocalici", in "senso stretto" , costituiva "fonema".

Oggigiorno, invece, "eliminato" l' "R", si hanno : "câru / 'ka:ru/" = "carro" e "câu / 'ka:u/" = "caro", che, evidentemente, non formano più coppia minima ed "R" non appartiene più alla lingua genovese urbana.

Si avverte, inoltre, che l'adozione del simbolo "R" non corrisponde agli standard di "rappresentazione grafica" dei "fonemi" adottati dalla linguistica, ma è stata effettuata solo per fornire maggiore "evidenza grafica" nell'ottica di porre in adeguata evidenza il relativo "fenomeno linguistico".

Anche i riferimenti al fonema "R" che accennano ad una "pronuncia" con posizionamento di tipologia "palatale" - nell'ambito del "cavo orale" - sono stati indicati solo per "evidenziarne" la differenza rispetto alle "caratteristiche" di "pronuncia" dei fonema "r" ed "l" dell' "italiano standard".

La "definizione fonetica" esatta del fonema "R" esula dal presente ambito e compete agli studiosi.

Anche perché si tratterebbe - nell'ambito della "linguistica storica" - di un aspetto di "ricostruzione".

Infatti, come si può anche desumere da varie affermazioni riportate nell'articolo, l' -"R"- "intervocalica" risulta - non più, ormai, in ambito urbano - tuttora pronunciata in "varietà linguistiche" dotate di "arcaicità". Ed in alcune di esse, tuttora con la pronuncia "palatale" - cioè, "differenziale" rispetto all'italiano "standard" - riferita.In altre, l' - "R" - intervocalica è rimasta quale "confine di sillaba", ma, ormai, "pronunciata" come "r" "standard italiano".

Ciò anche nei casi in cui "etimologicamente" ed in "italiano standard" si ha il "fonema" "l" e non "r", dal momento che "R", ricostruito, poi, in alcuni siti, come "r standard italiana" , può "originare" sia da "-r-" quanto da "-l-" "etimologici", a motivo della "fusione" intervenuta - in "specifiche condizioni" - come si è in precedenza accennato.

Per maggior completezza e precisione di trattazione, occorre osservare che, oggigiorno" - com'è, d'altronde, "normale" - :

1) le "varietà linguistiche" "arcaiche" sono anche "periferiche" ;

2) le pronunce locali "attuali" del fonema "R" non sono esattamente coincidenti ( né coincidono "totalmente" le "situazioni" in cui esso viene ancora prodotto ) .



Potrebbe, di conseguenza, essere "valutato" da parte degli studiosi - nella misura del possibile, ovviamente - quale attuale "fonema" "R" possa meglio "rappresentare" l' "R" che ancora risuonava a Genova quando gli emissari e le truppe di Napoleone s'introdussero in città e conseguirono, in definitiva, un ruolo e una serie di evoluzioni politiche - e non solo ! - non inferiori a quanto accadde in altri luoghi d'Italia e d'Europa.

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Ciò premesso, risulta chiaro come si sono svolti gli "sviluppi fonetici " che hanno condotto da "naRîxa /na'Ri:Za/" = "narice" e da "myRaggia /my'RaddZa/" = "muro" agli attuali "naixa / 'najZa/" e "miâgia /'mja:dZa/" di identici significati.

"Esiti" "simmetrici" nella "dittongazione" - /aj/ in confronto a /ja:/ -, anche se la "genesi" di "miâgia /'mja:dZa/" implica la presenza della "versione arrotondata" - cioè y, in genovese "fonema" a pieno titolo (10) - invece di /i/ nel sostantivo "originario".

"Eliminata" l' "-R-" presente in "naRîxa /na'Ri:Za/", l' "esito" "naixa /'najZa/" che presenta il "dittongo discendente" /aj/ appare ragionevolmente "immediato", anche perché , in genovese, alla vocale /a/ non "corrisponde" alcuna "semiconsonante" e non sarebbe, quindi, stato possibile "produrre" alcun dittongo, se non di tipologia "discendente".

Dato che, ogni volta che nel corso della sua "evoluzione storica" vengono ad eliminarsi "confini" tra sillabe e sono poste in "diretto contatto" vocali prima appartenenti a sillabe diverse, la "tendenza" della lingua genovese è, di norma, "protesa" a realizzare "dittongazioni".

Compatibilmente con la "struttura intrinseca" della lingua stessa.

Il passaggio, invece, da "myRaggia /my'RaddZa/" a "miâgia/'mja:dZa/" mostra come, eliminata l' "-R-", /y/ ed /a/ formino il "dittongo ascendente" /'ja:/, perché /j/ è la "semiconsonante" "corrispondente" al "timbro vocalico" /y/ (4).

L' "esito" ottenuto - "miâgia /'mja:dZa/ " - fornisce evidenza della "quantità lunga" dei "dittonghi ascendenti" e della "conseguente" "diminuzione d'intensità" della "consonante" /dZ/.

"Intensa" nella pronuncia di ancien régime - /my'Raddza/ - , perché si trattava di consonante "post-tonica" che seguiva sillaba "breve".

"Scempia" nella pronuncia attuale - /'mja:dZa/ -, perché la consonante - sempre "post-tonica" , ovviamente, - segue sillaba "lunga" ( "dittongo ascendente" ) .

Ovviamente, quanto esposto relativamente ad un esempio di "dittongo ascendente" - /'ja:/ - varrebbe identicamente anche nella situazione di "dittongo discendente" che, identicamente, denota la sillaba di appartenenza come "lunga" e, ugualmente, "richiede" "pronuncia scempia" della "consonante" seguente.

Appare evidente il "contrasto fondamentale" rispetto alla lingua italiana, in cui il "raddoppiamento consonantico" risente dell'etimologia della parola.

In genovese, nella reale pronuncia, l'etimo non causa alcun effetto e l' "intensità" della "consonante", in aderenza alle modalità esposte, risulta unicamente "regolata" - come evidenziato, ad esempio, dalle situazioni di "post-tonia" esposte - dal "posizionamento" della "consonante" rispetto all' accento e dalla "durata temporale" della sillaba "tonica" che precede la "consonante" stessa.

(10) Senza esporre lunghe sequenze di "coppie minime", si può immediatamente verificare che /y/ - "versione arrotondata" del "fonema" /i/ - è, in genovese, come /i/, "fonema" a sua volta. Basti elencare sciy /'Sy/" ="su" in opposizione a sci' /'Si/ = "si'" et c. ... Anche il "timbro vocalico" /ø/ - con pronuncia chiusa, perché si tratta della "versione arrotondata" di /e/ - "e" chiusa - costituisce "fonema" a tutti gli effetti. Non difettano le "coppie minime" : çê /'se:/" = "cielo" - "soê /' sø:/" = "strato, ma, nella "lingua popolare", anche suo, sua, suoi, sue, cui il "registro borghese" preferisce "so/'sO/" ". Si può proseguire con "noêvu / 'nø:vu/" = "nuovo" - "nêvu / 'ne:vu/" = "nipote (maschio) - il femminile è "neçça /'nessa/" " et c. ...

turna 'n çimma
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