TRATTATO

D’ORTOGRAFIA GENOVESE

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CAPO PRIMO

Dell’Alfabeto genovese e sua pronunzia.

Le lettere dell’alfabeto genovese sono ventitrè:
a b c ç d e f g h i l m n o p q r s t u v x z
ed hanno quasi tutte lo stesso suono che nella lingua italiana. Si osservi però:
1° Il ç, che si prepone soltanto alle vocali e i, si pronunzia come un’s all’uso francese; così çetron melarancia, conçerto, concerto, çinque, cinque, ecc. si pronuncieranno setron, conserto, sinque, ecc.
2° La e si pronuncia regolarmente stretta, fuorché innanzi all’r cui segua un’altra consonante, come: erba, erba, persa, maggiorana, inverso, rovescio, ecc. Posta innanzi alle consonanti duplicate f l s t, ed anche a st, ha un suono irregolare, pronunziandosi in molte parole stretta e in molte larga. Non potendosi dare intorno a ciò una regola determinata, si segnerà l’e larga coll’accento grave in quelle parole le quali pronunziandosi con e stretto hanno un significato totalmente diverso, come: pesta, pèsta; testo, tèsto; letto, lètto, ecc
3° La n, tanto in principio quanto nel mezzo delle parole, ha lo stesso suono che nella lingua italiana; in fine poi delle medesime si pronunzia nasalmente, e nel pronunziarla si perde in bocca per metà, come: man, mano, sen, seno, bibbin, dìndio, latton, ottone, ecc.
4° Allorché si trovano due nn- scritte in questo modo, il che avviene soltanto nell’ultima sillaba della parola, la pronunzia di queste è nasale, ed ambedue si appoggiano alla vocale precedente con cui sembrano formar sillaba, pronunziandosi poi la vocale che segue totalmente staccata dalle medesime, come: campann-a, tann-a, ecc.
5° L’o, alla stessa maniera dell’e, ha pur due suoni come nella lingua italiana, l’uno aperto o largo, e l’altro chiuso. Non potendosi neppure in ciò dare una regola fissa, si segnerà l’o largo coll’accento grave in quelle parole che pronunziate coll’o stretto variano totalmente il significato, come: botte o bòtte, ecc botto, balzo, bòtto, quel nòcciolo più grosso degli altri di cui si servono i fanciulli giuocando alle caselle (càllai).
6° La s ha pur essa due suoni, un dolce e un aspro. Chiamasi s dolce quella che pronunziandosi rende il suono quasi d’una z, e ciò avviene quando, nel mezzo o nell’ultima sillaba della parola essa vien preceduta da un dittongo o da una vocale non accentuata, così: ase, casa, tesöu, peiso, difeisa, besêugno, ecc. si pronunciano come se fossero scritte aze, caza, tezöu, peizo, difeiza, bezêugno. Aspra all’opposto dicesi quell’s che si fa sentire con molto sibilo, e si pronuncia alquanto più presto dell’s dolce, come: Sanson, Sansone, sensâ, sensale. Si pronunciano pure con s aspra le sillabe sa, se, si, so, quando nel mezzo e nell’ultima sillaba della parola sono precedute da una vocale accentuata, come: fäso, falso, ëse, essere, imböso, capovolto, cäsetta, calzetta, sovvegnîse, ricordarsi, ecc.
7° La s seguita da due c, cioè scc, tanto al principio della parola che in mezzo di essa, si pronunzia col fischio di sc, soggiungendovi poi il suono chiaro d’un’altro c, così: sccetto, schietto, scciavo, schiavo, masccio, maschio si pronunziano come se fossero scritte: sc-cetto, sc-ciavo, masc-cio.
8° L’u ha due suoni differenti, ora toscano come in punto, muscolo, futta, stizza, ed ora francese, come in dûo, duro, condûto, acquedotto e simili. A quest’ultimo si sovroppone per distinzione l’accento circonflesso.
9° La x si pronunzia alla stessa maniera della j dei Francesi nelle parole déja, jeton, così: baxo, bacio, caxa, cassia, dexe, dieci, ecc.
10° La z ha due suoni, un dolce e un aspro. Dolce, come in zeo, gelo, zin, riccio marino, zutta, fondaccio ecc. Aspro, come in ambizion, annunzio, ozio e simili.

CAPO II

Degli Accenti.

Gli accenti del dialetto genovese sono quattro: acuto (´), grave (`), circonflesso (^) e dieresi ossia trema (¨).
L’accento acuto si mette soltanto sulla e in fine d’una parola, e serve a rendere la stessa parola tronca e a stringere la pronunzia dell’e, come: perché, poiché, zacché, a l’é coscì, la cosa e così.
Il grave fa lo stesso uffizio che in italiano, cioè allarga la vocale cui vien sovrapposto; e ciò avviene nelle lettere e o, quando trovansi in mezzo della parola, come abbiamo già visto. Messo in fine d’una parola che finisca per vocale, tronca seccamente la parola, come: pappà, caffè, coscì, xabò, virtù. Notisi che la pronunzia dell’ù sarà sempre alla francese.
Il circonflesso ha nel nostro dialetto lo stesso valore che nella lingua francese, cioè strascica la vocale a cui vien sovrapposto, così andâ, pappê, staffî, ecc., si pronunciano come se fossero scritte andaa, pappee, staffii, ecc. - L’ô si pronunzia stretto tanto in mezzo delle parole quanto in fine di esse, come: gôa, demôa, amô, sô, dottô. - L’û, come ho detto di sopra nel Capo I, si pronuncierà come l’u francese, non però strascinato quando sarà in mezzo della parola, come dûbbio, mûtto, sciûto, pûa, polvere; e strascinato quando sará in fine di essa, come: mû, cû, pittamû, pittima, spilorcio.
La dieresi ossia trema fa i seguenti quattro uffizi:
1° Ora serve a sciogliere il dittongo in poesia, come nella lingua italiana Esempio: E ro söave e fresco ventixêu O dixeiva: dormï, dormï figgiêu, E i venticelli dibattendo l’ali Lusingavano il sonno dei mortali. (Trad. della Ger. lib);
2° Ora serve a strascinare la vocale a cui vien sovrapposta senza però alterarne il suono naturale, come in bägio, sbadiglio, pëtene, pettine, pämïa, palamìta, püta, poltiglia ecc. - Si eccettua l’ö, il quale tanto nel mezzo delle parole quanto in fine di esse, si pronunzia sempre largo e strascicato, come: fö, farò, dö, darò, ûn pö, un poco, töa, tavola, föa, favola, scöso, grembo, ecc. - Nelle due pro*posizioni articolate cö, col, sciö, sul, e nel pronome lö, eglino o loro, si pronunzia stretto;
3° Ora serve a distinguere il significato della parola, o il tempo del verbo. Distingue il significato della parola nel pronome lö, loro, nelle prep. art. cö, col, sciö, sul, sciä, sulla, pë, per lo*, e nei verbi pä, pare o sembra, dö, darò, fö, farò, sö, sarò, sä, sarà, diä, dirà, le quali voci tutte se invece fossero segnate coll’accento circonflesso, lô, cô, sciô, sciâ, pê, pâ, dô, fô, sô, sâ, diâ, sarebbero tanti nomi sostantivi equivalenti a lupo, colore, fiore o signore, ella o signora, piede, paio, dolore, fragore, sole, sale, ditale. Distingue il tempo del verbo in alcune terze persone del singolare, del futuro della prima congiunzione*, le quali scritte coll’accento circonflesso diverrebbero tempo presente dell’infinito, così: dä, fä, stä, mangïä ecc. valgono darà, farà, starà, mangerà ecc.; dâ, fâ, stâ, mangiâ ecc., valgono dare, fare, stare, mangiare; e nelle seconde persone del plur. del pres. dei modi indicativo, imperativo e congiuntivo della 4ª coniugazione, come: voî sentï, gödï, maledï, ecc., voi sentite, godete, maledite, ecc., le quali segnate coll’accento circonflesso diventano esse pure tanti modi infiniti: sentî, gödî, maledî, ecc., sentire, godere, maledire, ecc.
4° Finalmente serve a contrarre le seguenti preposizioni articolate:
ä


sciö
sciä
scï

invece di
»
»
»
»
»
»
»
a-a,
da-a,
co-o,
sce-o,
sce-a,
sce-i,
ne-e,
pe-e
,
alla
dalla
col, con il, con lo, collo
sul, sullo
su la, sulla
su i, sui, sugli
nelle
per le


CAPO III

Dei Dittongi, Trittongi e Quadrittongi.

I dittongi del nostro dialetto si dividono in propri ed impropri. I propri sono molti, e come nella lingua italiana si suddividono in distesi e raccolti. I distesi sono quelli che fanno sentire ambedue le vocali in maniera ch’e’ non appariscano quasi dittongi, come ancoa, àncora, peuxo, pernio o bilico, naixe, narici, beive bere, moesca, moresca, influî, influire, ecc. I raccolti sono quelli che si pronunciano talmente uniti che la prima vocale perde molto di suono, e la seconda è principale, perché sovr’essa la voce si posa, come in ciave, chiave, viovetta, màmmola, cûggiâ, cucchiao, ecc.
Gl’impropri sono tre: æ, êu, ôu, e si pronunciano nel modo seguente:
æ, cioè ae unite insieme, vale un’e lunghissima* e strascinata, come: , mio o mia, bæga, briga, imbriægo, ubbriaco, parlæ, parlate, ecc.;
êu, che, per distinguere dal dittongo proprio eu, come in peuxo, beulo, ecc., si scrive coll’accento circonflesso sopra l’e, si pronuncia allo stesso modo che i francesi nelle parole feu, peu, heureux, così fêugo, fuoco, lêugo, luogo, dêutta, dote, ecc. Gli antichi anteriori al secolo 16° scrivevano oe: loego, foego, doetta; e quelli contemporanei al Cavalli, e i posteriori sino alla fine del secolo 18°, adoperavano invece il trittongo francese oeu, attaccando insieme l’oe, così: lœugo, fœugo, dœutta, ecc.
ôu vale o-u, ma pronunziato con somma prestezza e con tuono enfatico facendo posare la voce sopra l’u di pronunzia toscana, ma tronco, come sciôu, fiato, ballôu, ripiano, alluôu, stordito, ecc. Gli antichi invece si servivano del dittongo ao, scrivendo sciao, ballao, l’Abbao, l’Abate.
Ha il nostro dialetto pure dei trittongi, come paeise, paese, poeiva, poteva, andieivo, andrei, ecc., nei quali la principale vocale è l’ultima sopra cui la voce si posa; e dei quadrittongi, formanti due sillabe, come in rattaiêu, trappola, tortaiêu, imbuto, scorsaiêu, scorciatoia, ecc.

CAPO IV

Del Tratto d’unione.


Il tratto d’unione (-) nel dialetto genovese si adopera a due usi. Ora serve a rilevare la pronunzia delle due n segnate a questo modo nn-, come ho notato nel Capo I al num. 4; ora serve a congiungere insieme le seguenti preposizioni coll’articolo:
a-o, al, allo
a-i, a’, ai, agli
a-e, alle
da-o, dal, dallo
da-i, da’, dai, dagli
da-e, dalle
co-a, colla, con la
co-e, colle, con le
co-i, co’, coi, cogli, con gli
ne-a, nella
ne-e, e per sinc. , nelle
ne-i, ne’, nei, negli
pe-o pel, per lo
pe-i, pe’, pei, per gli
pe-a, per la
pe-e, e per sinc. , per le